Opinioni

La Domenica voluta dal Papa. Oltre l'eclissi della Parola

Mimmo Muolo domenica 26 gennaio 2020

La Domenica della Parola di Dio, istituita da papa Francesco, riconsegna nelle mani di ognuno di noi un immenso patrimonio di fede e di cultura, che – diciamolo francamente – molti hanno ormai smarrito o relegato alla polvere delle librerie di casa. Il valore di questa iniziativa, come ha sottolineato l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, è senz’altro legata a un nuovo annuncio (specie nelle nostre società secolarizzate) e ha perciò notevoli applicazioni di carattere pastorale ed ecumenico. Del resto la stessa scelta del nome, con il riferimento alla Parola di Dio e non solo alla Scrittura, rimanda direttamente al Concilio e alla Dei Verbum (n. 9) in particolare. Ma, al di là di questo non può essere sottovalutata neanche la sua portata culturale. Specie se intendiamo la cultura non come una cittadella ideale abitata da un ristretto numero di eletti, ma come il sostrato profondo che orienta la nostra vita e le nostre azioni quotidiane, individuali e comunitarie.

Da questo punto di vista non c’è dubbio che la Parola di Dio (così come fissata nella Bibbia e illuminata dalla Tradizione) debba essere considerata non solo il grande codice culturale dell’Occidente (sarebbe restrittivo considerarla tale), ma dell’umano tout court. Anche Antonio Rosmini, nella seconda delle sue “Cinque Piaghe”, la definisce «veramente il libro del genere umano (…) per antonomasia». E aggiunge che «in un tal codice l’umanità è dipinta dal principio sino alla fine». Perciò non è lontano dal vero affermare che il declino di questa fonte di perenne ispirazione per le generazioni degli ultimi due millenni abbia comportato l’eclissi di Dio a più riprese denunciata dal Magistero e abbia aperto le porte non solo alla crisi di fede oggi così palese, ma anche a quel sonno della ragione che specie nel Novecento ha generato mostri come i totalitarismi atei, i lager di ogni colore politico e, da ultimo, l’individualismo che tende a fare di ogni uomo un’isola nella corrente di una vita senza senso, con il corollario di povertà esistenziali e materiali ben note.

L’iniziativa del Papa assomiglia, dunque, a una specie di punto e a capo. Una pietra d’inciampo che ci mette nuovamente di fronte a un’eredità da molti ritenuta sorpassata e ci “costringe” a fare i conti con la sua inesauribile vitalità. Occorre riflettere su ciò che il cardinale presidente della Cei, Gualtiero Bassetti, ricordava nella sua introduzione al Consiglio permanente di questa settimana. Quell’episodio in cui uno scrittore, trovandosi a cena con amici, citava un passo della Scrittura dando per scontata la sua conoscenza da parte degli interlocutori e scoprendo invece che per loro si trattava di un inedito è la spia di quanta ignoranza biblica si sia venuta accumulando nelle nostre teste, nei nostri cuori e conseguentemente nelle nostre condotte. E dà pure conto della sorpresa con cui gli osservatori anche più raffinati guardano a certe derive etiche, sociali e, perché no, anche elettorali del nostro tempo. Gratta gratta, alla radice di tutto questo che cosa si scopre? L’eclissi appunto – o per lo meno l’affievolirsi – del riferimento a quel Codice che l’alfabeto dell’umano ha fondato sin dalle dieci parole consegnate a Mosè e alle quali il Cristo morto e risorto ne ha aggiunta un’undicesima e definitiva.

S
arà un bene, dunque, per la nostra umanità stressata da tante parole che rischiano di soffocare il suono incarnato dell’unico Verbo, celebrare questa Domenica (e prolungarla nella vita dei prossimi 365 giorni). Sarà un bene riflettere e guardarsi intorno e magari riaccorgersi che la nostra arte, la nostra letteratura, la nostra musica devono a quel Libro la massima parte della loro ispirazione e dunque non sarebbero intellegibili senza la conoscenza degli archetipi narrativi in esso contenuti. Come si può leggere l’incontro tra l’Innominato e il cardinale Borromeo senza conoscere la parabola del Figliol Prodigo, che di fatto Manzoni riscrive in quella meravigliosa pagina de “I Promessi Sposi”? Come si può comprendere “Il Deserto dei Tartari” senza ricordare il Maranathà che conclude la Bibbia, di cui Buzzati si fa assetato interprete? Come si può prendere in mano il Pinocchio di Collodi ignorando i molti riferimenti biblici (a partire dal Geppetto novello Giona nel ventre della Balena) che esso racchiude? Come si può ascoltare il “Va’ pensiero” di Verdi senza riandare all’esilio babilonese degli ebrei? Come si vede – e la citazione di autori anche non dichiaratamente credenti è puramente voluto – il dinamismo vitale dell’ispirazione biblica prosegue (a volte sommerso o subliminale) anche ai nostri giorni. Basterebbe leggere i testi di cantautori come Bruce Springsteen, Bob Dylan o Bono Vox per rendersene conto.

O vedere con occhio attento quei film (Matrix, Star Wars ad esempio) che il filone della cosiddetta pop theology ha cominciato a indagare con risultati sorprendenti, per averne conferma. Ora questa Domenica “provvidenziale” ci offre un’immancabile occasione per riannodare i fili di un percorso anche culturale, oltre che spirituale e pastorale. E del resto, come diceva san Giovanni Paolo II, «una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta». Come sarebbe bello, dunque, che questa occasione fosse recepita anche e soprattutto dalle nostre agenzie educative, in primis la scuola. Rimettere nelle mani dei nostri ragazzi i versi meravigliosi del Cantico dei Cantici e dei Salmi, invece delle brutture di certi rapper e trapper, l’incanto del racconto della creazione («E Dio vide che era cosa buona»), invece dei videogiochi violenti, lo storytelling luminoso delle parabole evangeliche al posto di certi fantasy splatter o addirittura demoniaci sarebbe oltre tutto un’opera di sana ecologia. Ecologia della mente e del cuore. In una parola umana ecologia integrale, che non a caso papa Francesco pone a fondamento di tutti i discorsi – oggi tanto in crescita, specie tra i giovani – di attenzione alla “casa comune”, così seriamente minacciata anche e soprattutto dall’eclissi della Parola nelle nostre vite.