Opinioni

Basta squadracce antisemite in stadi e strade. E occhi aperti. Odio da spazzar via

Massimiliano Castellani sabato 24 novembre 2012
Ma siamo sicuri che in “quer pasticciaccio brutto” di Campo de’ Fiori c’entri solo il calcio? La risposta è no. Ma resta il fatto che tra i componenti di quella solita sporca ventina che ha aggredito i tifosi del Tottenham sicuramente c’è chi frequenta lo stadio Olimpico: la Curva Nord laziale, la Curva Sud romanista e magari anche, la meno popolare Tribuna Tevere o la più esclusiva (se non vip) Monte Mario. Ed è inconfutabile che i nipotini dei “ragazzi di vita” pasoliniani questa volta l’hanno combinata grossa.
Istintivamente (le belve umane agiscono solo d’istinto) hanno colpito alla vigilia di un evento sportivo internazionale (una gara di Europa League), approfittando della vacanza romana del “nemico inglese” e per di più supporter del club con precisa connotazione religiosa, il “Tottenham degli ebrei”. L’antisemitismo legato a un campo di calcio da noi ha avuto rare occasioni di sfogo, ma solo per mancanza di “vittime”. A memoria, ci fu una coda eclatante nel 1990, quando l’israeliano Ronny Rosenthal all’Udinese venne accolto con scritte antisemite sui muri – a firma degli ultrà friulani – che indussero la dirigenza a rispedirlo al mittente, ancor prima di vederlo all’opera.
Non è raro invece che le frange estreme della Curva Nord della Lazio nell’ultimo decennio si siano macchiate di antisemitismo, con striscioni inneggianti ai forni crematori e sventolando bandiere con simboli nazifascisti. Conseguenze: indignazione dei politici romani e della Federcalcio, sull’onda emotiva, e multe alla società del presidente Lotito. Qualche migliaia di euro fu la pena inflitta anche a quello striscione esposto nel marzo del 2003 dai dirimpettai della Curva Sud che in occasione di Roma-Ajax srotolarono il vergognoso stendardo: « And now: go to have a shower » (E ora andate a farvi una doccia).
Ogni riferimento all’Olocausto e ai campi di sterminio non è mai casuale quando in campo scende l’Ajax e il Totteham, le cui tifoserie condividono una simbologia ebraica e quella londinese si fa chiamare «Yid», «Yiddish». Ora si dirà che il raid del pub di Campo dè Fiori è avvenuto a distanza siderale dallo stadio Olimpico, ma sul luogo del delitto scampato (un tifoso inglese è rimasto gravemente ferito) è stata trovata una sciarpa della Lazio.
Un indizio non fa una prova, quindi perché mettere sempre il calcio alla sbarra? Qualcuno della sporca ventina si sa che tifa Lazio, qualcuno la Roma, la maggior parte non hanno una squadra del cuore, ma hanno la passione comune a far parte delle “squadracce”. Quelle nere che vedono sempre il nemico nel “diverso”, per via del colore della pelle, per la bandiera politica e per la religione. Quelle rosse, a parole predicano una maggiore tolleranza, ma poi sfilano davanti alla sinagoga del ghetto di Roma e inneggiano ad «Hamas» e nell’ultima 'guerra santa' tra palestinesi e israeliani non stanno dalla parte della pace, ma di quelli che sparano razzi e missili da Gaza.
Queste squadracce sanno che il più grande centro sociale a cielo aperto è lo stadio, perciò quando devono terrorizzare o di lama ferire, usano strategicamente la gran cassa del pallone. «Tifosi? Piuttosto direi dei beceri. Ma non cadiamo nell’errore di pensare che sia gente ignorante e senza cultura, che non conosce la storia. Sarebbe sbagliato...», ha commentato il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni. E sbaglia anche il presidente Lotito quando dice che la sua società è estranea a certi fatti di violenza: purtroppo l’antisemitismo (o l’antisionismo dello striscione «Palestina libera», comparso durante Lazio-Tottenham) serpeggia nella Curva laziale.
Il dramma è che da lì, l’odio razziale sconfina per le strade di Roma che per gli inglesi – non certo maestri di antiviolenza da stadio – per colpa del calcio è diventata «la città più pericolosa d’Europa». Fantacalcio? Forse, ma se ormai anche il World Jewish Congress chiede la«sospensione della Lazio dal calcio europeo per i ripetuti atti di razzismo», forse è il caso di interrogarci, tutti, sulle contromisure per debellare una minaccia che fa orribile la faccia di Roma e dell’Italia. Le multe inflitte dalla Uefa (l’ultima di 40mila euro, sempre alla Lazio) non bastano più. Servono gesti forti, come quell’arbitro che al primo coro antisemita ha sospeso la partita. È successo in Olanda, è tempo che si cominci anche da noi. Per eliminare quest’odio criminale dalle strade della nostra capitale e delle nostre città, prima forse è il caso di spazzarlo via dai gradoni di uno stadio.