Opinioni

L'escalation Hamas-Israele sullo sfondo della crisi siriana. «Nuvole» inquietanti nei cieli del Medio Oriente

Giorgio Ferrari giovedì 15 novembre 2012
Il nome, Cloud Pillar, colonna di nuvole, è solo apparentemente leggiadro: il riferimento sottaciuto è a quel 'pilastro di fuoco' – che nella Torah testimonia la presenza di Dio – che consentì agli israeliti di attraversare il Mar Rosso relegando le truppe del faraone sulla sponda egiziana. Cloud Pillar è il nome che i fantasiosi strateghi di Gerusalemme hanno dato all’operazione iniziata ieri pomeriggio da Tsahal (le forze armate israeliane) nei confronti della Striscia di Gaza e culminata – per ora – con l’eliminazione del comandante militare di Hamas Ahmed Al-Jaabari, elemento di primo piano della nomenklatura palestinese, rimasto ucciso insieme al dirigente delle Brigate Ezzedine al-Qassam Raed Attar nel corso di un raid dell’aviazione con la stella di David.Hamas – responsabile negli scorsi giorni di un ripetuto lancio di missili verso le città confinanti con la Striscia, come Ashqelon, Beer Sheva e Sderot – ha rilanciato a sua volta la sua sfida con un proclama tante volte adoperato: «Si sono aperte le porte dell’inferno». Replica di Gerusalemme: «L’esercito israeliano è pronto a un’operazione di terra nella Striscia di Gaza. Colonna di nuvole potrebbe durare diversi giorni». Le analogie con l’operazione Piombo Fuso (la campagna militare iniziata il 27 dicembre del 2008 e protrattasi fino al 18 gennaio 2009) sono più che evidenti. Semmai è lo scacchiere strategico ad essere cambiato. Un terzo fronte (il secondo è la polveriera Hezbollah nel sud del Libano) si è aperto ai confini orientali di Israele ed è quello del Golan, dove per la prima volta dopo 40 anni c’è stato uno scambio di colpi di artiglieria con la Siria: i caccia di Damasco martellano le postazioni dei ribelli sia sul confine turco sia su quello israeliano, con i rischi che da una scintilla possa uscirne un incendio di vasta proporzioni. Ma anche all’interno dell’arcipelago palestinese molte cose sono cambiate. Il puzzle è assai complicato. Proviamo a districarlo.Con la storica visita dell’emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al Thani a Gaza (primo capo di Stato arabo in visita nella Striscia dall’occupazione israeliana nel 1967) Hamas ha trovato uno sponsor e un alleato destinato prima o poi a soppiantare l’antica alleanza con Teheran. L’emiro ha portato denaro, promesse di investimenti e di modernizzazione, ma soprattutto un patrocinio politico assai prossimo a quello dei Fratelli Musulmani e all’Egitto di Morsi. Il che è fumo negli occhi per il presidente dell’Anp Abu Mazen, in crisi di credibilità e ulteriormente spiazzato dall’endorsement del Qatar e in procinto di spendere l’ultima cartuccia politica di cui dispone nella richiesta di riconoscimento della Palestina come Stato osservatore non membro presso l’Onu.Il voto all’Assemblea Generale del Palazzo di Vetro è previsto per il 29 novembre, ma non si fa mistero a Gerusalemme di un piano per rovesciare Abu Mazen nel caso il voto del 193 membri gli fosse favorevole (115 Paesi sarebbero pronti a votare a favore, contro 50 contrari sicuri e una cinquantina di possibili astensioni). Provvidenziale per Netanyahu sarà il veto americano, già ventilato da Obama, il quale tuttavia all’inizio del secondo mandato si ritrova fra le mani un’agenda mediorientale irta di incognite. Incognite che turbano anche i sonni di Netanyahu, il quale teme che alle elezioni di gennaio il Likud si sfaldi e ceda terreno alla rinascita di Kadima, con l’ex premier Olmert e l’agguerrita Tzipi Livni di ritorno sulla scena.Scacchiere intricato, come si vede, aggravato dalla madre di tutte le incognite: l’Iran. Obama insiste sulla linea della trattativa e delle sanzioni economiche, Netanyahu (che confidava in una vittoria di Romney) fa sapere che non chiederà a nessuno il permesso di bombardare i siti nucleari iraniani. Non sono propriamente, diciamolo, dei venti di pace.