Opinioni

Ignazio e Francesco. La nuda missione

Enzo Bianchi venerdì 15 marzo 2013
​Un figlio di sant’Ignazio di nome Francesco. Anche questo singolare accostamento fa parte della pacata sorpresa costituita dall’elezione del cardinal Bergoglio a vescovo di Roma. Un gesuita – il primo della storia – eletto successore di Pietro che sceglie come nome quello del santo di Assisi, con un’audacia evangelica che nemmeno i quattro papi francescani di un passato ormai ontano avevano osato intraprendere. Ma cosa accomuna spiritualità ignaziana e carisma francescano? Una risposta esauriente l’avremo certamente dal ministero petrino che si è inaugurato la sera del 13 marzo, ma qualcosa può già essere detto.Innanzitutto credo che in Ignazio di Loyola come in Francesco d’Assisi ci sia l’esigenza e la capacità di andare all’essenziale, al cuore del messaggio evangelico: con l’adesione alla Parola di Dio, l’obbedienza alla sua autorità, al suo essere regola di vita e di comportamento. Tutto il resto – carismi, studi, strumenti, parole e gesti – le deve essere subordinato per poter imitare Cristo, per seguire Gesù ovunque lui vada e chieda ai suoi discepoli di andare.Da questo ascolto prioritario e amoroso della Scrittura, da questo rapporto quotidiano con il Vangelo nella sua nudità nascono la saldezza e il discernimento per andare ad annunciare la buona notizia a tutti: senza venir meno di fronte alle difficoltà e alle situazioni più estreme, senza lasciarsi distrarre da scopi secondari, senza confusioni tra volontà propria e volontà di Dio.Poi, strettamente legata a questo, un’ardente passione per la missione, per farsi "Cristofori", portatori di Cristo là dove egli desidera essere portato: tra i saraceni o agli estremi confini della terra d’oriente come d’occidente, accogliendo e capendo le diverse culture o parlando il linguaggio universale della semplicità disarmata. E, in questo andare verso i lontani, la capacità di restare saldamente radicati alla propria identità evangelica, al prezzo di una solitudine di frontiera per i figli di sant’Ignazio o della radiosa povertà dei discepoli mandati a due a due senza denaro né bisaccia per i seguaci del santo di Assisi.Ma un altro elemento, ancor più manifesto, unisce la spiritualità ignaziana al nome di Francesco, ed è Francesco Saverio, uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, missionario nelle estreme terre dell’Asia, capace di intuire la sfida appassionante che le genti di oriente portano alla corsa della Parola di Dio, uomo di frontiera disposto a morire come chicco di grano perché il seme del Vangelo potesse germinare anche in terre così feconde e lontane.Sono tutti tratti che ritroviamo fin dai primi gesti di papa Francesco e, ancor prima, nella scelta del suo motto episcopale: «Miserando et eligendo», avere compassione, chinarsi sui miseri e scegliere, chiamare alla sequela di Cristo. Così non sorprende che Francesco – l’unicità del suo nome da papa lo spoglia anche dell’attributo "regale" del numero ordinario – alla prima uscita nella chiesa di Santa Maria Maggiore chieda come prima cosa di «lasciare aperta la chiesa» perché possa entrare tutta la gente semplice, pellegrini come lui, e poi, rivolto a quanti vi esercitano il ministero della confessione, insista per ben tre volte a usare misericordia. Sì, sono questo camminare insieme con il popolo cristiano, questo fare syn-odos, «cammino insieme» vescovo e popolo, e l’uso della misericordia, la "medicina" indicata già da papa Giovanni per la chiesa, questo «cuore per i miseri», questa elezione dei piccoli e dei poveri che paiono già caratterizzare inequivocabilmente il ministero del sorprendente gesuita di nome Francesco.