Opinioni

Quell'Italia ricca di valori e potenzialità, che merita di essere sostenuta. Non solo debito non solo spread investire sui beni comuni

Carla Collicelli sabato 2 giugno 2012
L'Istat ha appena fornito, con la sua annuale relazione, un contributo davvero ottimo per la comprensione della situazione economica e sociale del Paese. La dovizia di informazioni demografiche, economiche, sociali e di tutti gli altri ambiti della vita collettiva e, soprattutto, la grande competenza con cui vengono raffrontate, rendono quanto mai chiara (e su queste pagine lo si è ampiamente documentato) la situazione nella quale ci troviamo dopo vent’anni di cosiddetta Seconda Repubblica e dieci di euro: siamo più poveri, non cresciamo, risparmiamo meno, invecchiamo, il Sud non recupera i suoi svantaggi.Ce n’è abbastanza per aprire definitivamente gli occhi sui rischi concreti di una fase recessiva che non accenna a finire e tende, anzi, a perpetuarsi. E per apprezzare l’importanza degli sforzi compiuti dall’attuale governo per risalire la china del debito sempre più greve, dello spread mortificante, degli investimenti mancanti e della ripresa necessaria. Ma quello che va particolarmente apprezzato sono quei commenti ai dati, in specie la parte finale della relazione curata da Enrico Giovannini e dai suoi collaboratori, dove si cerca di tirare le fila del discorso e di indicare gli obiettivi più importanti, dal punto di vista strategico, per uscire dalla crisi e per ribaltare la situazione di stallo.Questi obiettivi non sono solo, e nemmeno tanto, il debito e lo spread (che rappresentano delle conseguenze più che la sostanza del quadro socio-economico), bensì altri fattori di natura strategica e immateriale, come la valorizzazione delle risorse esistenti, il benessere sociale, i beni comuni, l’equità. Lo sviluppo e la crescita, infatti, non si possono "fare" solo mettendo sotto controllo la spesa, o riducendola senza criteri appropriati e solidi. Non c’è dubbio che il debito pubblico vada ridotto e tendenzialmente annullato, ed è evidente che molte spese nell’ambito della pubblica amministrazione sono ridondanti, inutili e addirittura dannose. Ma la loro individuazione può avvenire solo con il supporto di una chiara idea di quali siano i risultati attesi di ogni spesa, e quindi di quali siano le spese produttive e quali quelle improduttive. E così per consulenze, enti, investimenti. Qualsiasi altra forma di contenimento e razionamento, che prescinda dalla individuazione e definizione delle strategie date da obiettivi, risultati attesi, strumenti adeguati, rischia di moltiplicare problemi e fallimenti. E proprio questo, ad esempio, è quanto stanno segnalando – come registrano i recenti studi del "Forum per la Ricerca Biomedica" del Censis – le involuzioni e i peggioramenti che si sono innescati nella sanità di molte regioni italiane sottoposte a piani di rientro dal debito.Bisogna anche dire che qualsiasi intervento di risanamento sarà vano se non verrà accompagnato da una revisione critica della struttura e dei processi di governance, spesso così arretrati in Italia, per l’effetto congiunto di vecchi schemi di potere, personalismi e antagonismi di più recente matrice, chiusure culturali verso nuove forme e nuovi soggetti di governo, mancata considerazione del valore della condivisione e dell’approccio poliarchico nella gestione e direzione, a qualsiasi livello e in qualsiasi settore.Infine, e l’Istat lo dice molto bene nelle sue conclusioni, non vale il rigore e non si produce crescita se non si investe sui beni comuni, su quelli immateriali, sulle risorse spontanee e sull’equità. Troppo spesso ambiziosi obiettivi di sviluppo si perdono nelle more della difesa di interessi particolaristici, lontani dal bene collettivo. La dimensione immateriale della conoscenza, che tanta parte ha avuto e sta avendo nella crescita culturale dei giovani e soprattutto delle giovani del nostro Paese, va rafforzata e sostenuta con investimenti forti, nelle università, nei centri di ricerca, nelle scuole... Le risorse spontanee vanno valorizzate, e non penalizzate come spesso accade. E quando si parla di "risorse spontanee" ci si riferisce – oltre che al fondamentale soggetto famiglia – ai giovani, alle donne, agli stranieri, alle imprese innovative, al Terzo Settore, al capitale sociale diffuso, alle reti di sostegno, alle relazioni umane, alle tante eccellenze. C’è in altre parole un’Italia poco rappresentata e considerata, che è ricca di valori e di potenzialità, e che deve essere sostenuta perché si possa risalire la china che abbiamo percorso in discesa in 20 anni.