Opinioni

Non tutto sia comizio. L’autonomia del Csm è un bene

Giuseppe Anzani venerdì 28 settembre 2018

In democrazia non è necessario che tutto piaccia a tutti. È invece necessario che tutti rispettino le regole del gioco, e poi che ognuno faccia il suo gioco con onestà; e, terzo, sapere che le due cose vanno insieme, o cadono insieme.

Non è piaciuto a Di Maio e a Bonafede che alla carica di vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura (il presidente, come si sa, è sempre il Capo dello Stato) sia stato liberamente eletto da quell’assemblea l’avvocato David Ermini, già deputato nelle file del Partito Democratico. Perché siano così costernati gli esponenti 5stelle che stanno al governo non si capisce bene, ma ciò che passa in cuor loro è affar loro, ne hanno facoltà. Che manifestino in pubblico il disappunto, e per giunta clamorosamente accusino, quasi fosse uno schiaffo alla loro lesa maestà, è affar nostro ed è affare di democrazia e di regole del gioco.
Come sanno tutti, la prima regola di salvaguardia della libertà nei sistemi democratici è la divisione dei poteri sovrani: legislativo, esecutivo, giudiziario. Nella Costituzione italiana è disegnato un intreccio di bilancieri che reggono le funzioni, i pesi e i contrappesi, le facoltà e i limiti di ciascun organo dello Stato. In questo, anche in questo, sta la "coralità" della guida e (della vita) d’una comunità sociale libera da prepotenze e da ingiustizie.

Il Csm è l’organo di autogoverno della Magistratura. Autogoverno significa che si governa da sé, e in ciò sta un caposaldo della autonomia e indipendenza dell’Ordine giudiziario. La giustizia, beninteso, cioè la soluzione dei conflitti civili, la cognizione delle accuse penali e il castigo dei delitti, non la fa il Csm: è affidata ai giudici, che sono soggetti soltanto alla legge, e pronunciano le sentenze in nome del popolo italiano. Ogni singolo giudice, in quel compito, impersona lo Stato, in presa diretta. Naturalmente, non può decidere secondo quel che gli piace, ma secondo la legge. Se sbaglia (e può sbagliare), c’è sempre sopra di lui un altro giudice (d’appello); e sopra quest’altro c’è la Cassazione come suprema istanza di legittimità. Se c’è una precauzione esterna da prendere, è quella che nessun giudice, nessun piccolo giudice – ricordate il film "Zeta" di Costa Gavras? – abbia sul collo il fiato d’un qualche potente; e dunque è giusto tener autonoma e affidare a un organo costituzionale la disciplina strutturale del rapporto e della funzione (reclutamento, tirocinio, formazione, incarichi, sedi, trasferimenti, sanzioni disciplinari). Proprio per questo esiste, e questo fa, il Csm: presieduto dal Capo dello Stato, ed eletto per due terzi dai magistrati e per un terzo dall’intero Parlamento. Autonomia è il contrario di mandati o indirizzi politici della maggioranza di turno.

Ermini non ha il compito di fare l’amministratore delegato. Non credo sia necessario spiegare al vicepremier Di Maio e al guardasigilli Bonafede che quella carica non è tra quelle incluse nello spoil system, né lottizzabili alla Cencelli. Non è il vicepresidente l’organo che "possiede" e gestisce i compiti del Consiglio, fatto di persone che è lecito supporre dotate di qualche professionalità e coscienziosità; e magari di libertà, nel prendere decisioni collegiali in modo democratico. E non è neppure il Csm che "amministra la giustizia", che resta compito, come s’è visto, dei singoli giudici, cui singolarmente spetta – uno per uno – la soggezione «solo alla legge» senza nessun condizionamento, neanche del Csm.

Questo è il disegno che raffigura il dover essere del sistema. Si dirà che nella storia delle vicende umane tutto può impolverarsi e contaminarsi. Ma appunto per questo ciascuno va richiamato alla sua vocazione, alla purezza del suo impegno, al giuramento che ha fatto, e in ultima istanza alla onestà e verità della sua vita. Ma questo vale per tutti; persone, organi, padroni sovrani (cioè noi come popolo) e servi (in latino il servo si chiama appunto minister). Magistratura compresa, si capisce; ma compreso Parlamento (a far buone leggi, che è il suo compito); e compreso governo (a guidare la barca di tutti, senza infiniti comizi).