Opinioni

I pastori sardi e il futuro comune. Non sprechiamo il latte versato

Leonardo Becchetti martedì 19 febbraio 2019

Nella storia del latte sardo versato per strada dai pastori c’è la sintesi di alcuni dei problemi principali dei nostri tempi. E di un sistema economico che persegue in maniera eccezionale due obiettivi – massimo profitto per le imprese e benessere per i consumatori attraverso l’offerta di una gamma sempre più vasta di prodotti a prezzi bassi – mettendo però in secondo piano questioni fondamentali come la dignità del lavoro e la tutela dell’ambiente.

Come risolvere il problema di produttori che si vedono offrire un prezzo per il loro prodotto (55/60 centesimi al litro) inferiore ai costi operativi di produzione? E come è possibile che non si riesca a pagare loro qualcosa in più quando il prezzo finale del prodotto arriva a 7-8 euro ed oltre confermando una costante delle filiere agricole dei nostri tempi dove gran parte del valore del prodotto va alla trasformazione e alla distribuzione?

La prima via, fondamentale per trovare una soluzione nel medio-lungo termine, è che i pastori sardi – come ogni altra categoria di produttori – devono aumentare il loro potere contrattuale, innovando, diversificando le loro fonti di reddito, organizzandosi meglio per risalire la catena del valore. Organizzarsi in agricoltura vuol dire tra l’altro controllare le quantità prodotte evitando sovrapproduzione e costruire cooperative che offrono servizi assicurativi sul prezzo.

Il nostro Paese è pieno di storie di agricoltura di successo dove piccoli e grandi gruppi di produttori riescono a creare valore anche in queste condizioni così difficili (si pensi alle cooperative dello zucchero nel Nord del Paese, alla storia delle mele trentine o a quella recente dei produttori di pere, per citare solo alcuni casi). Nel mondo in cui viviamo non ha purtroppo futuro dire – come ho sentito in alcuni servizi video – «mio nonno ha fatto questo lavoro in questo modo, mio padre pure e io voglio fare lo stesso». L’economia, come anche la politica, non può essere autoreferenziale. Si sta in società e "sul mercato" per rispondere a una domanda e a un bisogno, e si deve essere pronti a cambiare se quella domanda o quel bisogno non "pagano" più.

C’è poi la risposta "politica" alla quale amministratori locali e nazionali sono costretti, quasi sotto ricatto. Se la protesta è forte alla fine è difficile superare la tentazione di un sussidio che metta temporaneamente una pezza al problema. Sembra questo essere il destino inevitabile anche di questa vicenda. Il conto ovviamente lo pagano i contribuenti e il rischio è che domani qualunque altra categoria in difficoltà faccia lo stesso puntando a ottenere qualcosa di simile.

Il sussidio pubblico è una soluzione tampone che non risolve il problema strutturale. Può fare qualcosa in più se è finalizzato a quel percorso di innovazione e diversificazione di cui sopra. O, ancora, se è costruito come una forma di assicurazione per la stabilizzazione del prezzo, dove ai produttori si corrisponde un prezzo medio degli ultimi anni aggiungendo qualcosa al prezzo di mercato in momenti come questo o sottraendo qualcosa quando il prezzo è elevato.

Esiste poi la via "legale", formalmente ineccepibile ma sempre di difficile attuazione. La trasparenza delle informazioni del prodotto deve evitare l’inganno di prodotti con nome italiano realizzati con latte bulgaro o romeno. Ed esiste in linea di principio la possibilità di accusare la distribuzione di abuso della propria posizione di forza quando si costringe il produttore a vendere sottocosto. Ma è difficile che questo basti.

Resta, infine, la via d’uscita dell’economia civile che cerca di usare le logiche di mercato in modo 'umanamente' più efficiente per aumentare la 'produzione di senso' di vita di tutti gli attori della filiera e far crescere il bene comune. Su questa via, un attore della grande distribuzione – la Coop – ha deciso di offrire ai produttori sardi 1 euro al litro facendo concorrenza ai propri competitori sul fronte della responsabilità sociale. E in Francia, ricordiamolo ancora una volta, un’associazione di 10mila cittadini ha deciso che il consumatore non deve essere solo spettatore passivo, ma attore protagonista delle logiche di mercato.

Gli associati hanno definito assieme il loro 'latte' ideale (no ogm, da pascoli locali e con un prezzo equo per il produttore). Sono andati dai produttori chiedendo un prodotto con queste specifiche e con la marca 'chi è il padrone?' hanno conquistato quasi il 4% della quota di mercato in due anni. Il problema dei pastori sardi si può risolvere con vecchie o con nuove ricette. La ricetta del sussidio pubblico è la peggiore, non risolve nulla e rischia anzi di ingigantire il problema in futuro.

Solo combinando la via dell’innovazione, diversificazione, organizzazione con quella di un 'altro mercato' dove i consumatori diventano protagonisti è possibile fare un passo in avanti nella costruzione di un’economia più ricca di senso e di soddisfazione per tutti gli attori della filiera. Se in Italia siamo veramente ambiziosi e lungimiranti, non possiamo non puntare su questa strada.