Opinioni

La forza globale delle obiezioni. Non solo «The Donald»

Andrea Lavazza giovedì 2 febbraio 2017

Dopo tredici giorni di Donald Trump alla Casa Bianca, l’attenzione e l’agenda internazionale sembrano ostaggi delle mosse del nuovo presidente americano. Gli Stati Uniti sono la superpotenza che spesso dà il passo al mondo e la rottura con il passato vuole essere netta, quindi non è del tutto sorprendente ciò che sta accadendo. Tuttavia, anche sotto l’incessante flusso narrativo dei media, si rischia di sopravvalutare qualche fenomeno e di trascurarne altri. Un tweet molto rilanciato nelle ultime ore ha permesso a chi lo ha letto di cogliere quella che, in termini poco consoni alla cultura digitale, si direbbe l’altra faccia della medaglia rispetto all’ordine esecutivo sull’accesso agli Usa di persone straniere di religione musulmana emesso venerdì notte.Il messaggio arriva dall’Iraq e potrebbe anche risultare una “verità abbellita”, questo sì un concetto tra quelli in voga negli ultimi mesi. Ma esso dà comunque una chiave di lettura plausibile e interessante. Scrive un funzionario Onu: «Parlavo con una collega locale che stimo e lei ha cominciato a dirmi “Lo sai, da anni pensiamo che voi americani odiate noi arabi e non ci volete a casa vostra, e ora con il presidente Trump...”. A quel punto già mi immaginavo il seguito, e invece lei ha proseguito così, «al contrario, ora abbiamo capito di esserci sbagliati, abbiamo capito che tenete a noi e ci volete in America».

Se i governi e tanti osservatori hanno sottolineato il rischio che il bando (temporaneo) ai cittadini islamici di sette Paesi possa alimentare il fondamentalismo e in generale allontanare le culture e le fedi, non si è ancora sufficientemente considerato quanto il dissenso, le proteste e le obiezioni di coscienza visti in queste ore abbiano la capacità di lanciare un messaggio universalistico e fraterno. Cristiani e ebrei e laici in piazza per dire che nessuno deve essere discriminato e rinchiuso dietro un muro a causa della propria fede e della propria cultura di origine danno una testimonianza certamente inattesa nel mondo musulmano per forza e numero delle voci che si stanno levando.

Ovviamente, non bastano le marce e le resistenze, dato che gli unici effetti concreti arrivati dalla parte dei migranti sono, per ora, quelli negativi degli sbarramenti rafforzati, ampliati e creati ex novo da «The Donald». Tuttavia, un movimento che si oppone al rialzarsi dei confini e delle divisioni, proponendo dialogo e solidarietà fattiva, cui la Chiesa fornisce un contributo di primo piano, può trasmettere un messaggio capace di bucare le barriere e di costruire quei ponti che il Papa per primo auspica e contribuisce a realizzare.

Ma se un tweet riesce a dirci che ha senso e valore un dissenso robusto e civile, non si deve nemmeno cadere in un’altra illusione prospettica, rimanendo sobriamente realisti. Slogan, piazze piene e un ministro che si fa licenziare non significano infatti che gli umori che hanno portato Trump alla vittoria si siano già diluiti. È forse ingenua ma non infrequente una domanda di fronte all’opposizione che ha incontrato lo stop ai migranti musulmani. “Tutti costoro non potevano votare per Hillary Clinton? E il presidente non comprende che l’aria è già cambiata?”. Si tratta del paradosso delle minoranze visibili. Coloro che manifestano non hanno di sicuro sostenuto il candidato repubblicano, anzi. Sono certamente numerosi, i media ne amplificano la presenza, costituiscono però soltanto una piccola frazione degli americani. La maggioranza di essi, dicono i sondaggi e dice anche la loro inerzia, resta probabilmente al fianco di Trump e delle sue scelte di contenimento drastico dei flussi migratori, qualunque siano le conseguenze su profughi di guerra e sui perseguitati per ragioni politiche e religiose.

C’è dunque da prendere atto che è in corso, come tante volte è accaduto, un confronto tra idee che non paiono potere essere collocate sullo stesso livello. Il valore di testimoniare a favore di quelle ispirate a princìpi di umanità e di giustizia che si trovano provvisoriamente in “inferiorità numerica” va però, come suggerisce anche una conversazione privata svoltasi nel lontano e martoriato Iraq, oltre il confronto tra scelte legislative e abbraccia una dimensione più ampia e profonda. Per cogliere queste dinamiche è necessario provare ad analizzare i fatti al di là delle apparenze. Un’avvertenza che proprio le cosiddette forze populiste e i loro portavoce tendono a ignorare, preferendo inesorabilmente una comoda, semplificante e spesso corrosiva superficialità.