Opinioni

Perché digiuno e preghiera proposti a credenti e non credenti. Non solo con la bocca ma anche con il cuore

Francesco D'Agostino martedì 10 settembre 2013
L’adesione del mondo cattolico alla giornata di digiuno e di preghiera per la pace indetta da Papa Francesco peer sabato scorso era scontata. Molto meno scontate, e proprio per questo molto gradite, sono state le adesioni provenienti da rappresentanti di altre religioni e soprattutto dal mondo dei "laici". Laici, anzi "laicisti" di rango (di quelli che hanno "diffidenza" nei confronti della religione), hanno pubblicamente dichiarato di voler rispondere positivamente all’appello del Papa, perché la pace va difesa ad ogni costo e con tutti i mezzi e perché – così ha detto qualcuno di essi – il digiuno va considerato anche (e forse soprattutto) come una pratica laica o comunque non esclusiva della tradizione ebraico-cristiana. Considerazione vera, che ci aiuta a capire perché il Papa abbia abbinato al digiuno la preghiera e abbia chiesto che la giornata di sabato 7 settembre fosse dedicata unitariamente all’una e all’altra pratica. È evidente che questo abbinamento non è stato proposto dal Papa come rigido ed escludente (del tipo: è inutile che chi non prega digiuni o, viceversa, è inutile che chi digiuna arricchisca il digiuno con la preghiera) e meno che mai come meramente devozionale. Quello del Papa è stato un appello per orientare le coscienze, prima che volto a prescrivere specifici comportamenti. E le coscienze non si orientano perché mosse da improvvise e misteriose pulsioni interiori (guai a considerare in tal modo la stessa grazia di Dio). Le coscienze hanno bisogno più spesso di quanto non si creda di una sorta di "motore di avviamento", senza di cui esse si addormentano, si atrofizzano, restano inerti, si degradano o precipitano in quella sorta di auto-inganno che caratterizza quelle "anime belle" (dolci e ingenue, ma incapaci di operare per il bene), contro le quali si indirizzano da sempre le sarcastiche critiche dei "realisti". In altre parole, le coscienze vanno tenute deste, o addirittura "svegliate", e a tal fine il digiuno da solo non può bastare (perché si può digiunare anche per mere ragioni dietetiche), così come spesso non può bastare nemmeno una mera preghiera, che corre sempre il rischio di ridursi a una serie di parole pronunciate con la bocca, ma non con il cuore. È per questo che al digiuno va associata la preghiera e la preghiera va associata al digiuno: l’uno garantisce l’autenticità dell’altra e viceversa. Ed è per questo che anche il laico, quando prende sul serio l’impegno per un digiuno, prende implicitamente, anche se non se ne rende conto, un impegno di preghiera, in una delle forme, incredibilmente varie, ma comunque sempre efficaci, che la preghiera può assumere. Ecco perché digiunare per la pace assieme ai laici rende noi cristiani lietissimi (perché mai come nel momento di un comune digiuno percepiamo la fraternità che ci accomuna tutti), tanto quanto dovrebbe rendere inquieti, anzi inquietissimi, quei laici, che accettano il digiuno, ma rigettano esplicitamente la preghiera (spesso senza sforzarsi nemmeno di capire cosa significhi esattamente pregare). Digiunando senza pregare (o al massimo volgendo un qualunque pensiero a un ipotetico Essere Supremo) i laici esprimono nei fatti il limite insuperabile del laicismo, che non consiste tanto nel negare l’esistenza di valori (una variabile del laicismo, questa, pressoché inesistente), ma nella freddezza con cui i valori vengono "laicamente" riconosciuti e perseguiti. Il laicismo ha un disperato bisogno di un supplemento d’anima. Invitandoli a digiunare assieme a loro, i cristiani non hanno certo voluto guardare i laici dall’alto in basso e giudicarli con alterigia; hanno voluto e vogliono semplicemente che le loro stesse coscienze si sveglino assieme alle coscienze di tutti i fratelli, credenti e non credenti: è anche (e forse soprattutto) da questo risveglio che dipende, ci ha insegnato il Papa, la grande causa della pace.