Opinioni

Con la gente, due mesi dopo il terremoto. Non siete soli. Non ci resterete

Marina Corradi lunedì 30 luglio 2012
​Ci sono aziende che per non chiudere hanno dislocato l’attività in Veneto o anche in Trentino: e i pullmann degli operai partono dall’Emilia all’alba e tornano a tarda sera. In certe manifatture si lavora anche di notte, pur di non perdere le ordinazioni: perché chi lascia andare via i clienti è perduto, e dunque non si può mollare. I tecnici dei Comuni discutono di agibilità sotto ai gazebi, nei quaranta afosi gradi della Bassa. Le parrocchie hanno la chiesa segnata di crepe, ma gli oratori accolgono ogni mattina i ragazzini. In Emilia e nel Mantovano una strenua volontà di tenere duro sembra scontrarsi con la burocrazia farraginosa che imbroglia la ricostruzione con le sue carte; con un aiuto dallo Stato che non è quello sperato, e forse con una sottovalutazione complessiva della gravità del sisma, tale che le donazioni alla Protezione civile sono, a oggi, meno di un terzo di quelle per l’Abruzzo. Se chiedi a un emiliano come va, due mesi dopo, c’è chi ti risponde amaro: male, ci stiamo impantanando e siamo stanchi, e chi può se ne va. C’è chi ti parla della paura che ancora abita i paesi, per cui la notte ti sembra di sentire la terra che trema, ma non è vero: è solo il tarlo dell’ansia, che rode. Oppure ti dicono di una Bassa sospesa come una bolla in questa calura d’agosto, dove nell’apparenza irreale dei capannoni vuoti si aspetta settembre, per cercare di ripartire. «Non siete e non sarete soli», aveva detto Benedetto XVI a Rovereto sulla Secchia. Una promessa delusa allora, in quelle parole?E’ singolare come, pure dentro un quadro grave, gli accenti più ottimisti vengano da chi, duramente colpito, intravede nel terremoto una sfida che porta alla scoperta di qualcosa di più grande; più grande perfino del dolore, della povertà di famiglie rimaste senza niente. Come la dipendente di un’azienda carpigiana che ora lavora fino a notte, e però vede nel ripartire dal niente di tanti amici la sfida di un nuovo modo di essere. Gente che aveva il necessario, e anche il superfluo, impara che si può vivere in tutt’altro modo; e per la prima volta magari guarda in faccia il vicino, e ci si aiuta. Il vicario della diocesi di Carpi racconta della solidarietà delle Caritas lombarde e toscane e di altre regioni, e dello stupore dei parroci nel riceverne le delegazioni: che gente che abita lontano si interessi alla loro parrocchia, li commuove. «Ci è sembrato di vedere la Chiesa, in quelle facce», dicono. Ciò che tiene, tra i campanili in frantumi e la stretta creditizia e le annose carte della burocrazia che dicono "sì, no, forse", è una cosa semplice: il vedere l’altro accanto, come per la prima volta; e riconoscersi uomini, allora, e aiutarsi. E’ la logica dei gemellaggi fra paesi, o fra diocesi, la logica di piccole comunità che ne adottano una simile, colpita dal terremoto. E in questa rete di microsistemi il farsi avanti di volontari, movimenti ecclesiali, associazioni, parrocchie. C’è chi riapre i libri con i ragazzi che hanno finito la scuola il 20 maggio, come con un colpo di accetta. O chi insegna a suonare il violino a una ragazza terremotata. Superfluo? No, perché il desiderio di bellezza combatte la desolazione delle case vuote, e il silenzio di morte dei paesi abbandonati. Perchè il dramma dell’Emilia e di un brano di Lombardia e di un po’ di Veneto è, sì, forse incompreso, e lo Stato oggi ha poche risorse, e la burocrazia in Italia sarà sempre un intrico per azzeccagarbugli. Però, le facce degli uomini sotto alla crosta dell’indifferenza sanno ancora e sempre illuminarsi di una passione all’altro, che è feconda e che genera vita, di nuovo, anche sulle macerie. Accade quando, consapevolmente o no, si riconosce negli occhi dell’altro il filo forte di un comune destino, di un comune esser figli. E quando succede questo - e anche in questa terra spezzata e torrida succede - chi ne è testimone si accorge che è vero, che «Non siete e non sarete mai soli». Paradossale: potrebbe dirlo un ragazzino sotto a una tenda, o un vecchio rimasto senza un tetto, più che tanti di noi che stiamo partendo per le vacanze - scocciati per la coda al casello e il prezzo della benzina, e lo spread, e questo caldo, poi. Potrebbe dirlo, chi nella tragedia e nella paura scopre con meraviglia di non essere solo.