Opinioni

Campania, un vuoto fatto di non lavoro e depressione. Storia di Annamaria e di Sonia: non si può lasciare morire la speranza

Maurizio Patriciello sabato 15 ottobre 2011
Ha rischiato di morire di freddo, Annamaria. L’ hanno ritrovato dopo una notte di affannose ricerche rannicchiata tra i cartoni in uno scantinato di una vecchia casa abbandonata. Era scomparsa la sera precedente senza dare spiegazioni. Da mesi non faceva che chiedere aiuto. Il marito, un uomo buono e laborioso, dopo avere perduto il lavoro non riesce proprio a trovarne un altro. Annamaria aveva capito che doveva mettere da parte la vergogna e tendere la mano per amore dei figli. Lo aveva fatto. Con umiltà e dignità. La parrocchia non l’ha mai lasciata sola, ma alla fine lei ha ceduto. È stata trasportata in ospedale che delirava.È strano che non si parli molto della depressione quale ulteriore conseguenza di questa terribile crisi economica. Gli uomini e le donne lottano strenuamente, sperano, ma quando non riescono a intravedere la speranza, possono cedere. Il problema della disoccupazione cronica in Campania non è l’invenzione di qualche buontempone. È una terribile realtà che pesa enormemente. Qualcuno dovrà, prima o poi, con serietà, rispondere alla domanda: «Ma che deve fare una persona onesta – e che tale vuole restare – in situazioni simili?». Le famiglie che versano in queste condizioni estreme sono tantissime e vanno aumentando di giorno in giorno.Sonia è una giovane signora con due figli. Due bellissimi bambini che la vita sta già mettendo con la faccia al muro. Il loro papà, infatti, non potendo fare fronte alle esigenze della famiglia, è andato via di casa. Dove? Dalla sua vecchia mamma. Sembra incredibile, ma non è la prima volta che succede. Incapaci e svuotati di ogni più flebile speranza per il futuro, alcuni genitori si lasciano andare e tirano i remi in barca. È come se desiderassero ritornare fanciulli. Una sorta di infantilismo di ritorno. Di rinuncia alla patria potestà. Si ritorna dalla mamma, confessando la propria incapacità, il proprio fallimento. Con mille sensi di colpa. Si esce dalla scena sperando che qualcuno – per pietà o altro – finisca col prendersi cura della propria famiglia. È come se dicessero: «Io ho tentato ma non ci sono riuscito. Tolgo il disturbo. Affido a voi i miei figli, prendetevene cura». Forse pensano in questo modo di conservare un minimo di dignità. Anche Sonia, non sapendo più che fare, ha lasciata la casa, venduto i pochi mobili e ha fatto ritorno dalla mamma, una donna dal cuore grande quanto la luna piena, che le ha aperto la porta del minuscolo alloggio popolare. Inutile aggiungere che i servizi sociali da queste parti, dove sta entrando in crisi verticale anche il "welfare sussidiario", quello promosso dalla società, è come se non esistessero.Sono tempi davvero difficili, e lo sappiamo tutti. Ma forse non ci rendiamo ancora pienamente conto che la crisi, di cui si scrive e si parla in continuazione, sta incrinando e persino distruggendo in tanti e soprattutto nelle parti più deboli del nostro Paese la speranza, la capacità di progettare il futuro, la voglia di continuare a "essere famiglia". Proprio per questo è un dovere di tutte le persone di buona volontà, credenti e non credenti, affrontare l’emergenza con una consapevolezza e un senso di urgenza che non sopportano più indecisioni, rassegnazioni e perdite di tempo.