Opinioni

Il direttore risponde. Non rassegniamoci al diluvio

Marco Tarquinio domenica 8 settembre 2013
Caro direttore,
io non ho affatto gioito per la condanna in Cassazione di Berlusconi; le disgrazie degli altri, anche se meritate, non mi danno nessuna gioia. Se Napolitano avesse ritenuto possibile una qualche misura di clemenza, non avrei avuto nulla in contrario. Cerchiamo solo di distinguere la clemenza dall’ossequio ai potenti. A questo punto, però, mi preoccupo e mi indigno. È inaccettabile che si dica che la magistratura non deve permettersi di condannare un leader scelto da 10 milioni di cittadini. Intanto, non cambierebbe nulla. Barabba è stato scelto a maggioranza. Sembra di capire che Berlusconi vuole buttare all’aria la divisione dei poteri e restaurare un assolutismo (di tipo plebiscitario) in cui il sovrano assoluto, cioè lui («après moi …» chi se ne importa...) non è sottoposto alla legge. Conosco l’obiezione di Berlusconi: la magistratura non è un potere dello Stato perché non è elettiva. Purtroppo da noi non è elettivo neppure il Parlamento, dato che i parlamentari sono scelti dai capipartito, mentre la magistratura segue nella sua formazione le norme della Costituzione, attua cioè il precetto secondo cui il popolo esercita la sovranità «nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1). Se a Berlusconi non piace che i magistrati diventino tali «facendo il compitino» (la Costituzione lo chiama «concorso», art. 106), intanto provi, lui, a fare il «compitino» e soprattutto si ricordi che ha avuto 10 anni di governo e una larga maggioranza per modificare la Costituzione. Voglio ricordare una frase del professor Antiseri: «In democrazia non comanda il popolo, comanda la Legge».
Annabella Balbiano, Vanzone Ossola ( Vb)
Trovo ineccepibile il suo ragionamento, gentile signora Balbiano. Penso anch’io che, in politica come in economia, il potere delle leggi sia il saggio (sempre democraticamente riformabile e, in coscienza, sempre disinteressatamente eccepibile) antidoto all’imperio umorale delle piazze o alle prevaricazioni dei 'signori' e 'signorotti' di turno e dei loro 'bravi'. Apprezzo molto anche il suo tono pacato pur nella dichiarata e 'liberale' indignazione. Credo che siamo d’accordo pure sul fatto che le leggi – tutte, anche quelle che organizzano i poteri dello Stato, magistratura compresa – si possono cambiare, col giusto metodo e rispettando il dovere di perseguire un trasparente bene comune. Per il resto, verrà il tempo dei bilanci storici sulla cosiddetta Seconda Repubblica e non è difficile prevedere che sarà pesante e ampio il capitolo sui peccati politici e sulle omissioni accumulatisi negli ultimi vent’anni. E le presunzioni che lei evoca – «Après moi le déluge» – più di una volta (e non soltanto in riferimento a Silvio Berlusconi), come i lettori sanno, mi sono venute in mente e alla penna. Ma 'dopo' non c’è necessariamente e solo 'il diluvio'. Anzi. E dobbiamo conservare la speranza e la voce e la capacità di scegliere comunque (persino con l’insopportabile 'Porcellum' abbiamo provato a farlo...). C’è da reclamare e ottenere da questo strano tempo politico – che si rivela sempre più come un imprevedibile e complicato 'supplemento' di entrambe le precedenti stagioni repubblicane – un’azione efficace che sani non solo i deficit contabili ma anche il debito riformatore che abbiamo sulle spalle. C’è da sostenere scelte personali e di partito in definitiva molto semplici, ma niente affatto facili, che dimostrino non calcoli meschini o voglie di rivalsa, bensì l’impegno per l’Italia e la sua gente di vecchi e nuovi leader, o aspiranti tali.