Opinioni

La Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina. Non per protesta o denuncia ma in comunione e ascolto

Gerolamo Fazzini venerdì 24 maggio 2013
​L'ha lanciata, con un’intuizione lungimirante, Benedetto XVI, nella "Lettera ai cattolici cinesi" del 2007. E l’ha riproposta con forza Papa Francesco, nell’udienza generale dell’altro ieri. Ora c’è da sperare che, come avvenuto per la Giornata dei missionari martiri, anche la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina – che si celebra oggi, in concomitanza con la memoria liturgica di Maria ausiliatrice – diventi via via patrimonio delle comunità cristiane di tutt’Italia, a partire da questo 2013 che coincide con l’Anno della fede. L’auspicio, insomma, è che tale Giornata divenga gesto ordinario di una pastorale che sa respirare con i polmoni aperti al mondo.Già, perché unirsi spiritualmente in comunione con i cattolici cinesi non ha nulla di esotico né va inteso come affare per addetti ai lavori. Se Papa Ratzinger ha suggerito questo momento di preghiera, è perché aveva colto l’urgenza che la Chiesa cinese, nella tempesta della prova, avvertisse tutta l’energia della condivisione spirituale della Chiesa autenticamente catholica, cioè universale. In una situazione in cui, a Pechino c’è chi punta, di fatto, all’instaurazione di una "Chiesa nazionale", staccata da Roma, era (ed è) vitale che le comunità cristiane sparse nel mondo facciano sentire alla sorella cinese tutto l’affetto e la comunione di cui sono capaci. Il momento è particolarmente delicato. Quest’anno, nella diocesi di Shanghai – dove sorge il santuario mariano nazionale dedicato alla Madonna di Sheshan – la situazione si è aggravata nel giro di pochi mesi. La Signora alla quale è consacrata tutta la Cina verrà festeggiata sotto l’occhio vigile dei poliziotti. Ma non potrà partecipare all’evento neanche un vescovo. L’anziano Aloysius Jin Luxian (vescovo ufficiale) è morto a fine di aprile; il vescovo "sotterraneo", monsignor Giuseppe Fan Zhongliang, anziano e malato, è agli arresti domiciliari da tempo. E l’ausiliare, il giovane Taddeo Ma Daqin, dal 7 luglio scorso è finito in isolamento. Una vicenda, quella di Shanghai, altamente simbolica di una condizione generalizzata.La mancanza di un’effettiva libertà religiosa, non da oggi, mette a dura prova la testimonianza cristiana e l’evangelizzazione in Cina. Ma c’è qualcosa ancora di peggiore: il pericolo dell’oblio, il rischio della solitudine. I Papi – ieri Benedetto, oggi Francesco – lo sanno bene. E, per questo, chiedono che l’unità spirituale del Corpo mistico di Gesù si renda visibile ed eloquente, in occasione del 24 maggio, giorno in cui la pietà popolare venera Maria "aiuto dei cristiani". Con un gesto che non è di protesta né di denuncia, ma di carattere squisitamente spirituale. Celebrando questa Giornata di preghiera, come cattolici italiani non siamo chiamati solo a sentire e far sentire la nostra vicinanza a una comunità nella prova. Siamo pure invitati a imparare dalla Chiesa cinese cosa significhi testimoniare il Vangelo in condizioni di aperta avversità, restando – come scrive Paolo – «forti nella tribolazione e perseveranti nella preghiera». Papa Francesco sabato scorso ha ricordato che «ci sono più martiri oggi che nei primi secoli della Chiesa», sottolineando che «il martirio non è mai una sconfitta, ma il grado più alto della testimonianza». La Chiesa di Cina, cresciuta proprio grazie al sangue di tanti martiri, costituisce un esempio per noi credenti d’Occidente, spesso invece pericolosamente simili ai «cristiani inamidati» additati dal Papa: i quali «troppo educati, parlano di cose teologiche mentre prendono il tè, tranquilli».