Opinioni

Il direttore risponde. Non “braccia”, persone tutte intere

Marco Tarquinio mercoledì 5 giugno 2013
Gentile direttore,
il governo Letta include un ministro di colore ed è una raffigurazione emblematica del futuro dell’Italia: inizialmente gli stranieri sono disponibili a tutto e svolgono i lavori che gli italiani non vogliono più fare, poi finisce che comandano loro e girano in auto blu. Come insegna la storia, è così che finiscono le grandi migrazioni: gli imprenditori cercano manodopera a basso costo e, chiedendo braccia, si ritrovano persone.
Roberto Colombo, Milano
Certo, gentile signor Colombo: persone. E non può che essere così. Perché nessun uomo e nessuna donna è mai soltanto «braccia», comunque sia colorata la sua pelle, in qualunque condizione si ritrovi o venga cacciato, a qualsiasi passo e trasferimento e fuga sia indotto o persino costretto nella sua vita. Quanto a ciò che lei, in sintesi, definisce il «comandare», e che io mi ostino a pensare come un servizio pro-tempore a vantaggio della comunità di cui si è parte, mi sembra assolutamente normale che in questo nostro Paese i "nuovi italiani" comincino ad avere, da cittadini, responsabilità più chiare, pronunciate e alte. Proprio come è accaduto alla signora ministro Cécile Kyenge, nata congolese e italiana per matrimonio e maternità, cultura e impegno civile. La storia della dottoressa Kyenge è, del resto, la stessa identica storia di milioni di nostri connazionali emigrati in altri Paesi e diventati cittadini a pieno titolo della patria di adozione: lavoratori, scienziati, insegnanti, imprenditori, contadini, amministratori pubblici, professionisti, sacerdoti... Uno straordinario testimone di questa semplice verità è un figlio di italiani che, per povertà e per speranza, si fecero "nuovi argentini" e oggi è il Vescovo di Roma: Jorge Mario Bergoglio, il nostro Papa Francesco. Questo per confermarle, gentile lettore, che arrivo alla sua stessa conclusione: coloro che, per ventura, qui da noi o altrove, davvero dovessero arrivare a pensare di poter reclutare pezzi d’uomo e di donna, una mera forza lavoro da "importare" a comando, interesse e disprezzo (o anche solo con infelice e noncurante faciloneria), si ritroveranno comunque e immediatamente a fare i conti con persone tutte intere. Tutti figli dello stesso Padre, sappiamo noi cristiani. Che, perciò, non ci pensiamo solo "come loro", ma "con loro", in un "noi" che è il massimo antidoto alla retorica d’occasione e il minimo comun denominatore dell’umanità: siamo esattamente uguali in diritti e in doveri, per responsabilità e per dignità. Qualcuno inorridisce a sentirsi dire che siamo tutti cittadini dello stesso mondo, io no. Qualcun altro non riesce neanche a concepire che, a certe condizioni, pur avendo pelli di colore diverso, siamo anche cittadini della stessa Italia: ma è semplicemente così.