Opinioni

Senso della giustizia e della realtà. Noi e la storia che cambia

Carlo Cardia martedì 29 marzo 2011
La storia sta cambiando attorno a noi, l’Italia deve saper rispondere alla propria vocazione di apertura verso gli altri, sapendo che questa è la prova di maggiore saggezza e realismo che possiamo dare. Così può riassumersi l’orizzonte della prolusione del cardinal Angelo Bagnasco al Consiglio permanente della Cei. Il nostro Paese ha realizzato un lungo cammino dall’Unità a oggi ed è riuscito a comporre tante lacerazioni e contraddizioni, con la partecipazione di tutte le componenti sociali, a cominciare da quella cattolica che mette i propri valori e le proprie strutture a servizio della collettività. Oggi, però, corriamo un rischio serio, che ci si possa accontentare di ciò che abbiamo, considerandoci come degli "arrivati", chiudendoci in un isolamento egoistico di fronte alle novità che maturano, senza saper intervenire su di esse.I cambiamenti che si stanno verificando nel Mediterraneo in queste settimane, ha sottolineato il presidente della Cei, per la loro vicinanza e vastità, non sono qualcosa di estraneo, che possiamo ignorare cercando di trarne il minor danno. Una scelta del genere contraddirebbe la natura degli eventi in corso, perché essi ci coinvolgono comunque, e devono essere analizzati attraverso quell’«intelligenza della storia» che è necessaria di fronte a svolte importanti. Non siamo in grado di decifrare compiutamente un movimento che riguarda quasi tutti gli Stati arabi, coinvolge le nuove generazioni che vogliono partecipare ai benefici dello sviluppo e conquistare spazi di libertà e democrazia. Un movimento così grande presenta dei rischi, può avere dei lati oscuri, non garantisce esiti positivi, ma per affrontarlo non si possono chiudere gli occhi, perché esso ha un segno che prevale sugli altri. Interi popoli emergono da una condizione di passività e subalternità storica, vogliono veder riconosciuti i propri diritti, partecipare a una più equa distribuzione delle risorse del pianeta. È avvenuto altre volte nella storia, e per questo motivo occorrono risposte positive per evitare che si affermino nuove forme di oppressione, fondamentalismo, discriminazioni civili e religiose.Di fronte a un sommovimento così grande non vi sono scorciatoie, fondate solo su esigenze di sicurezza, o sulla logica delle armi. Non si possono piantonare i confini di un continente intero, ha detto il cardinale, perché non è né giusto né realistico. L’Italia e l’Europa sono chiamate a ben altro. A un intervento di solidarietà di grandi dimensioni che riguarda l’immediato, e che chiede la partecipazione dell’Europa che si trova «in debito con l’Africa». Insieme, però, occorre un cambiamento strategico che punti a far crescere la capacità produttiva dei Paesi in rivolta perché solo in questo modo si pongono le basi di nuovi assetti politici aperti a tutte le componenti sociali e religiose. La logica delle armi che oggi prevale in Libia deve lasciare il posto a soluzioni che accolgano le richieste di libertà e si fondino sul rispetto dei diritti umani. Occorre intelligenza per capire che oggi non dà più frutti la gara tra chi è più veloce o più bravo nell’uso delle armi. Il protagonismo che oggi si chiede è più complesso e lungimirante, ed è quello di chi si offre come interlocutore attivo per la ricostruzione di economie deboli, per il riconoscimento e il sostegno di regimi pluralisti, per assetti internazionali più giusti e aperti ai nuovi popoli, come tante volte auspicato nel magistero di Benedetto XVI.L’Italia ha un compito speciale da assolvere, perché la posizione geografica la spinge ad agire libera da condizionamenti puramente tattici. Ma l’Italia è chiamata anche a riflettere su se stessa. La memoria dell’Unità nazionale fa intravedere quanto cammino è stato realizzato, in termini di benessere, di riconoscimento di diritti, di coesione sociale fondata su valori etici e spirituali comuni. Ma questi traguardi non sono irreversibili, possono essere corrosi dall’individualismo relativista e dagli egoismi locali o di gruppi sociali che inaridiscono e degradano la politica, facendo perdere qualcosa di prezioso all’identità del nostro Paese. Il recupero di una identità orgogliosa di sé e dei valori comuni è necessaria per evitare i rischi di decadenza, ma anche per far sì che il rapporto con gli altri sia un rapporto di incontro, di collaborazione, di intelligente costruzione di un futuro comune che ormai si va allargando al Mediterraneo nel suo insieme.