Opinioni

Il direttore risponde. Non è tempo di gattopardi

Marco Tarquinio giovedì 9 maggio 2013
Gentile direttore,
mi permetto di intervenire sugli argomenti trattati dal ministro Quagliariello, su 'Avvenire' del 28 aprile, ripresi dalla lettera del professor Possenti e dalla risposta da lei data a quest’ultimo il 3 maggio scorso. Cioè le riforme utili e necessarie, i tempi per realizzarle. Non credo, direttore, che l’attuale governo delle 'larghe intese' durerà molto. Ne è una prova la controversia sull’Imu, una imposta studiata e definita 2-3 anni fa proprio dall’allora maggioranza di centrodestra e che ora lo stesso centrodestra rinnega al punto da richiedere una legge che la abolisca, chiedendo addirittura che venga restituito ai contribuenti quanto da essi pagato nel 2012. Il Governo Monti ha certamente calcato la mano nell’applicazione pratica dell’imposizione della tassa, ma arrivare, come fa il centrodestra, a pretendere addirittura la restituzione di quanto i contribuenti hanno pagato sulla base di una legge che lo stesso centrodestra ha, a suo tempo, voluto e, in seguito, votato, mi pare che dimostri la precarietà della maggioranza sulla quale il Governo si regge. Per questo ritengo che una nuova legge elettorale sia prioritaria e penso che dovrebbe essere scritta in modo tale da garantire alla maggioranza di esser tale in entrambi i rami del Parlamento, per poter governare senza ricatti da parte della opposizione e senza che questa possa opporre interdizioni in forza di una disparità di rappresentanza fra Camera e Senato. Temo che l’idea di partire dalla riforma istituzionale, sostenuta dal ministro Quagliariello, finirebbe col produrre una situazione gattopardesca: voler cambiare tutto per non cambiare nulla.
Vittorio Farabegoli, Cesena
 
Penso, gentile signor Farabegoli, che sia difficile, davvero molto difficile, definire in partenza un «esercizio gattopardesco» il volere una grande e armonica riforma del nostro bicameralismo e della nostra forma di governo e lavorare per realizzarla. Le confermo, poi, di credere che, pur tra immani difficoltà, oggi ci sia una possibilità serissima di riuscire a chiudere con successo la transizione dalla Prima Repubblica a una nuova Repubblica organizzata anche diversamente, ma sempre saldamente fondata sul basamento valoriale garantito dai princìpi della Carta del 1948. I 'numeri' del Governo Letta non sono solo quelli compiuti o dati nelle baruffe tra alleati che sono tali un po’ 'per forza' (ognuno di loro è insufficiente per governare da solo o in un quadro di alleanze omogenee) e un po’ 'per amore' (il bene dell’Italia e della nostra democrazia). I 'numeri' sono anche quelli di una maggioranza che supera i due terzi in entrambi i rami del Parlamento. Non riuscire, per inadeguatezza o per bieco calcolo, nell’impresa sarebbe un disastro, non solo un giochetto furbo da (più o meno dichiarati) paladini della conservazione. Comunque non posso che confermarle di valutare la situazione proprio come lei: se le riforme finissero di nuovo in panne, bisognerebbe votare almeno, e di gran carriera, una nuova legge elettorale. Ma purtroppo sono arrivato alla conclusione che se si arrivasse davvero a un brutale sabotaggio delle riforme, ci ritroveremmo in una situazione talmente insensata e così governata da logiche distruttive che cadrebbe – temo – qualunque speranza di produrre un’intesa, anche limitata alla sola legge elettorale. A qualcuno sembrerà retorico, ma c’è da augurarsi e – per chi, come noi, crede – c’è da pregare perché prevalga un chiaro e onorevole senso della patria e del bene comune.