Opinioni

La strage di Nizza. La minaccia è vicina, ma la civiltà deve resistere al terrore

Andrea Lavazza venerdì 15 luglio 2016
La minaccia così vicina, il panico da evitare Nel momento della festa più semplice e fanciullesco, quello dei fuochi d’artificio. Quando l’esplosivo è usato per fare divertire. Proprio in quel momento, quando sembrava che la Francia avesse passato indenne la giornata delle celebrazioni per il 14 luglio, la giornata dell’orgoglio nazionale, giovedì notte il terrore è piombato nuovamente sulla folla inerme delle famiglie e dei turisti. Sulla Promenade des Anglais di Nizza un jihadista, forse aiutato da complici, ha scelto un modus operandi probabilmente non preventivato dalle forze di sicurezza per fare un’orribile strage, con ottanta vittime e centinaia di feriti. Pochi minuti prima il presidente Hollande aveva annunciato che il 26 luglio non sarebbe stato rinnovato lo stato d’emergenza che vige nel Paese dagli attentati del 13 novembre 2015. Gli Europei di calcio, l’obiettivo che si temeva potesse diventare di irresistibile richiamo per il Daesh e di chi si ispira a esso, sono terminati domenica 10 luglio con un bilancio positivo per la sicurezza: nessun attacco e grande partecipazione di tifosi, forti misure di sicurezza ma senza panico né insofferenza. Un attacco “atteso” “Abbiamo vinto, malgrado la sconfitta sul campo”, avevano detto i vertici dell’intelligence. Ma la minaccia può nascondersi ovunque. E non sembra sventabile. Un altro attentato era stato preconizzato dal premier Valls in più di un’occasione. Il pericolo può essere rappresentato infatti da un individuo o in un piccolo gruppo capace di procurarsi un camion, di lanciarlo sulla gente assiepata e di sparare contemporaneamente con un’arma automatica. L’imponente numero di agenti dispiegato anche a Nizza non è bastato a evitare che un attacco per quanto rudimentale nella strumentazione diventasse tra i più gravi compiuti sul suolo francese. L’incitamento a colpire che il Daesh non ha smesso di rivolgere ai suoi potenziali seguaci attraverso il Web contempla anche azioni isolate con coltelli o autovetture usate come strumento di offesa. Sono modalità di azione che possono instillare insicurezza e paura, e consigliare perfino di evitare grandi assembramenti. Fanno dubitare di chi ci sta a fianco e incarna a alcuni stereotipi circa i terroristi. Situazioni che creano tensione e alimentano il risentimento di chi è vittima del sospetto infondato. La strategia nichilista È la strategia di odio che il fondamentalismo cerca di diffondere e che raccoglie adepti malgrado la sua evidente carica nichilista, di rivolta contro l’Occidente e di distruzione suicida. Non può essere altro, infatti, quello che muove una persona a uccidere a sangue freddo indifesi passanti, bambini e donne riuniti per una festa popolare. Proprio da Nizza sono partiti molti combattenti alla volta della Siria, come combattenti dello Stato islamico. E lo stesso ex sindaco della città, Christian Estrosi, ora governatore della regione, si era attirato critiche per le sue prese di posizione contro il radicalismo musulmano e la sua opposizione a un nuovo centro finanziato dall’Arabia Saudita. Pare che l’attentatore alla guida del camion fosse un franco-tunisino con piccoli precedenti, un possibile lupo solitario, ammaliato dalle sirene del califfato. Convivenza da difendere La strategia terroristica che punta a snervare, a fare saltare la nostra normalità, la convivenza civile, con i suoi riti quotidiani, e le sue regole di garanzia, non può e non deve averla vinta. A caldo, nel dolore e nel lutto, non è facile resistere alla tentazione del rifiuto, della chiusura, della risposta militare. O, come minimo, della rabbia e della diffidenza. Eppure, ancora una volta, servono la forza e la pazienza che permettono di costruire ponti tra comunità e anche, con la compattezza dei non violenti, di isolare chi vuole invece scavare fossati. La minaccia si fa vicina, i nostri nemici vogliono lanciare un messaggio di terrore che si insedi nella nostra vita. Hollande alla fine ha prolungato lo stato di emergenza. Ormai ci pare normale, ma non può e non deve esserlo. Altrimenti, cominciamo a perdere una battaglia decisiva.