Opinioni

Tre voti e altri processi in corso. Nelle viscere d'Africa

Giulio Albanese sabato 5 agosto 2017

Le consultazioni elettorali africane non fanno notizia. Eppure dovrebbero rappresentare un fattore di grande interesse per l’opinione pubblica europea. Dibattere sulla questione migratoria prescindendo dall’evoluzione dei processi politici africani è illogico. Ecco perché lo svolgimento e l’esito finale delle elezioni di questi giorni in Senegal (30 luglio), in Ruanda (4 agosto) e in Kenya (8 agosto) dovrebbero essere presi in attenta considerazione. Si tratta di verificare fino a che punto sia avvenuta una riappropriazione del destino collettivo da parte degli elettori, unitamente a una maggiore libertà politica, di espressione e di partecipazione.

Se da una parte è vero che in questi anni molti Paesi africani hanno patito l’autoritarismo politico di ingannevoli socialismi senza rivoluzioni o di presunti capitalismi senza capitali né borghesia, o gli effetti devastanti dell’etnicismo politico, vi sono elementi di novità che non andrebbero sottovalutati. Ad esempio, in un paese come il Ruanda, nonostante la leadership ininterrotta (dal lontano 1994, anno del genocidio) del regime di Paul Kagame – personaggio controverso, feroce con i dissidenti e responsabile di pesanti ingerenze militari nel vicino ex Zaire – si sta affermando un graduale processo di democratizzazione "dal basso", frutto della lenta ma sicura maturazione di un’opinione pubblica interna sensibile alla cittadinanza e al superamento dell’etnocentrismo politico. Il fatto che il governo di Kigali continui a essere saldamente nelle mani del Fronte patriottico ruandese (Fpr), grazie anche ai successi delle politiche di modernizzazione messe in atto in questi anni dal regime, non esclude scenari inediti alla narrazione giornalistica internazionale.

Esiste, infatti, una resistenza democratica locale fatta di piccole realtà rurali e cittadine, espressioni eloquenti della società civile, che, con impegno e determinazione, silenziosamente, contribuisce a modificare i meccanismi di relazioni interetniche, rafforzando il ruolo socioeconomico dei territori e delle comunità autoctone. Si tratta di reti di solidarietà che nascono soprattutto tra i giovani e le donne, nuove mentalità di gestione e innovative pratiche di management sociale; gruppi informali i cui attori mutano e si diversificano costantemente, con una coscienza accresciuta dei loro diritti di cittadinanza. E cosa dire di un Paese come il Senegal dove il numero delle liste elettorali e la partecipazione al voto, in occasione delle recentissime legislative è sintomatico di una grande voglia di riscatto?

Certamente, in Africa permane ancora l’impasse dello "Stato-Nazione" così come venne stato postulato dallo storico Basil Davidson, vale a dire una forma istituzionale di imitazione occidentale che si traduce in governi personali e autocratici fondati sul nepotismo e la corruzione esercitati a favore di una o più componenti etniche della popolazione contro le altre.

Le rivalità tra il presidente uscente del Kenya Uhuru Kenyatta e il suo sfidante Raila Odinga, leader dell’opposizione, con risvolti drammaticamente violenti in campagna elettorale, hanno certamente questa chiara connotazione. Rimane il fatto che la contemporaneità africana, segnata dall’accaparramento straniero (Cina in primis) delle riserve di petrolio, gas, materie prime di ogni genere e prodotti strategici come il rame, l’uranio e il coltan, non può prescindere da una sorta d’insubordinazione nei confronti dell’ordine stabilito dalle grandi potenze straniere.

E qui istintivamente sovviene il pensiero dello storico e politologo camerunese Achille Mbembé, espresso a chiare lettere nell’Afrique sindociles, un’opera di grande spessore culturale che andrebbe fatta conoscere. Se da una parte è pretestuoso imporre all’Africa modelli politici d’importazione, preconfezionati e sradicati dal milieu culturale e sociale del continente, dall’altra, la democrazia in Africa prenderà piede solo quando le élitessi faranno finalmente carico di trasformare in progetto politico i sussulti delle viscere profonde delle società africane.