Opinioni

Religioni riunite a Roma. Necessario è il coraggio

Andrea Riccardi domenica 29 settembre 2013
Nel mondo globale c’è una grande questione spirituale. Non solo quella, importantissima, delle proprie radici e della propria tradizione religiosa. Ma anche la questione spirituale dell’altro, del vicino differente da me, con un’altra fede, un’altra storia o semplicemente diverso. Non è soltanto un problema sociale o politico. È, appunto, anche spirituale. Senza affrontarlo, la pace è difficile, forse impossibile. Del resto, la storia mostra come spesso si sia costruita la pace ignorando la realtà spirituale o le religioni. O addirittura si siano disprezzati i mondi religiosi, considerandoli senza appello all’origine dei conflitti. Occorre invece – senza confusione, ma senza opposizione – trovare il senso spirituale dello stare vicino all’altro. Talvolta è anche solo percepire le vibrazioni religiose del suo modo di credere. Giovanni Paolo II lo aveva intuito: per lui il problema della pace riguardava intimamente le religioni. Le religioni come elemento decisivo per la pace. Bisognava avvicinare i popoli credenti e far emergere una cultura vissuta di pace. Nel 1986, papa Wojtyla invitò ad Assisi i leader delle grandi religioni mondiali a pregare gli uni accanto agli altri, e non gli uni contro gli altri. Era convinto che, a partire dalla preghiera, l’amicizia tra le religioni aiutasse a vivere insieme, sconfiggesse la guerra e delegittimasse il terrorismo. Papa Wojtyla volle che l’amicizia tra le religioni continuasse lungo gli anni, passando dai cieli della guerra fredda a quelli della globalizzazione, a confronto con lo scontro di religione e di civiltà, con il clima dopo l’11 settembre. Temeva che le religioni diventassero «ideologie del conflitto», che imprigionavano gli uomini sino a farne dei terroristi. L’ho sentito più volte parlare di come, da Assisi 1986, dovesse partire un cammino di dialogo interreligioso che incarnasse la speranza di pace negli angoli del mondo. Prima di tutto "pace" tra le religioni, ma anche un senso religioso della pace che coinvolgesse i popoli. Abbiamo bisogno di ritornare a quel sogno, perché – dobbiamo dirlo – siamo tanto, troppo misurati, se non rassegnati, nel sognare la pace come futuro dei nostri Paesi. Ogni Paese, in qualche modo, ha una pace da costruire. Alcuni però ne hanno un bisogno vitale, perché muoiono per la guerra. La gente aspetta parole di pace. E lo si è visto, quando papa Francesco con coraggio ha preso un’iniziativa sulla Siria. Ha contribuito in modo rilevante a sbloccare l’impasse internazionale che rischiava di travolgere tutti gli attori. Anche quest’anno, stavolta di nuovo a Roma e sempre su iniziativa di Sant’Egidio, si riuniscono per tre giorni i leader delle Chiese cristiane e delle grandi religioni mondiali per riprendere i fili del dialogo. Il coraggio della speranza è il tema impegnativo su cui si confrontano: è la responsabilità a uscire da orizzonti autoreferenziali, per affrontare i problemi della convivenza tra diversi, le guerre aperte, il terrorismo. In questo mondo globalizzato, così complesso, c’è bisogno di uscire dal pessimismo a cui ci consegnano la crisi economica e la multipolarità intricata dei rapporti internazionali. Il coraggio nasce dalla gratuità: non si vuole lucrare sulla sconfitta o sulla vittoria, ma si ama la pace. Ci vuole coraggio di fronte all’inquietante terrorismo religioso. Abbiamo sentito necessario il coraggio, quando i cristiani pakistani sono stati colpiti fuori da una chiesa o quando un attentato kamikaze ha seminato la morte a un funerale sciita di Bagdad. È proprio necessario coraggio per riprendere il sogno di pace, in un mondo dove le guerre – a differenza del passato – sembrano senza conclusione. Non è finita quella in Iraq; quando finirà quella in Siria? Siamo troppo rassegnati alla guerra e alla violenza come compagne inevitabili della nostra storia. Il coraggio di parlare di pace e la ferma speranza che la pace è possibile: questo è il senso dell’Incontro di Roma, che raccoglie donne e uomini di diverse religioni accanto a rappresentati del pensiero umanista. È di per sé un segno di speranza in quella Roma, da cui papa Francesco, parlando di Dio, fa sorgere una forte e nuova simpatia per i popoli e per gli uomini. Questo dono di simpatia non è qualcosa di effimero, ma una chance per la pace.>​