Opinioni

Il direttore risponde. Né imbavagliati né guardoni, c’è una terza via

sabato 19 giugno 2010
Caro direttore,sono perfettamente d’accordo con quanto ha affermato sulla stampa Fabrizio Rondolino, ex portavoce di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi, a proposito della legge sulle intercettazioni, già approvata dal Senato e in corso di discussione alla Camera. A tal proposito Rondolino ha affermato che la legge in discussione, da alcuni definita «legge bavaglio», è in realtà una buona legge e che l’attuale sinistra è «sfigurata dall’orgia giustizialista». È una buona legge – dice Rondolino – perché è buona nello spirito, perché parte da un principio giusto, liberale e sacrosanto: la tutela del diritto alla riservatezza dei cittadini. Molti editori e giornalisti che si dichiarano in guerra contro l’attuale legge in discussione in Parlamento, sono in realtà mossi da interessi meramente commerciali: con le intercettazioni infatti, comprese quelle secretate, si vendono più copie, poiché molti lettori, più che essere informati, preferiscono guardare dal buco della serratura. Ma cosa c’entra tutto questo con la libertà di informazione? Lo stesso governo Prodi e il centro sinistra si erano accorti del problema rappresentato dall’uso abnorme delle intercettazioni e avevano cercato di porvi rimedio tramite la legge Mastella; non si comprendono quindi le barricate di oggi.

Giuseppe Bianchi

Ho considerazione, gentile signor Bianchi, per il parere strapositivo sul ddl intercettazioni del collega ed ex portavoce di Palazzo Chigi (ai tempi di Massimo D’Alema) Fabrizio Rondolino. Così come ne ho per i pareri opposti di tanti altri colleghi, a cominciare da quello del segretario della Fnsi Franco Siddi. Ma continuo a ritenere che la vera «buona legge» sia quella che i giornalisti di Avvenire, per scelta professionale e di coscienza, seguono da anni, da ben prima che io divenissi direttore di questo giornale: rispettare il lavoro della magistratura contro i crimini e non intralciarlo mai (men che meno per ansia di scoop); informare con rigore i lettori e metterli in condizione di valutare i fatti; evitare il pettegolezzo e non invadere la sfera privata delle persone in modo ingiustificato e morboso; ricordarsi sempre che nessuno è colpevole fino alla condanna e dunque non imbastire processi mediatici né precostituire sentenze; non usare le notizie in modo pretestuoso o interessato. È per questo che noi di Avvenire non abbiamo mai pubblicato (e inevitabilmente selezionato e manipolato) le famose "lenzuolate" di intercettazioni telefoniche, ma non abbiamo neanche tralasciato di dar puntualmente conto di inchieste, accuse, difese e processi. Insomma: sono e resto convinto che tra il cosiddetto «bavaglio» e l’uso guardone e violento di materiali d’indagine ci sia una via mediana e ben solida. Noi la conosciamo e la sperimentiamo da tempo. Vogliamo continuare a percorrerla, esercitando la nostra libertà di giornalisti con senso del dovere e del limite e in responsabile atteggiamento di servizio verso chi ci legge.