Opinioni

Terzo settore. Mille beni confiscati e un bando da riempire

Carlo Borgomeo martedì 22 settembre 2020

Caro direttore,
fra poco più di un mese, il 31 ottobre, scade il termine entro il quale gli Enti del Terzo settore possono presentare domanda all’Agenzia per i beni confiscati alle mafie, per l’assegnazione diretta di mille beni confiscati. Il bando pubblicato dall’Agenzia, che attua una delle previsioni del Codice antimafia, è certamente un’iniziativa importante e molto opportuna anche perché la dimensione e le modalità dell’intervento possono dare uno “scossone” alle politiche per la gestione e la valorizzazione dei beni confiscati che, da tempo, presentano non poche incertezze e incongruenze.

Alla legislazione più avanzata al mondo in tema di confische, per le dimensioni degli immobili, delle aziende e delle risorse finanziarie confiscate, non corrisponde, purtroppo, un adeguato sistema normativo, amministrativo e organizzativo. Il bando introduce due importanti innovazioni: i beni vengono assegnati direttamente dall’Agenzia agli Enti del Terzo settore, e non attraverso gli Enti locali: questo accelera e semplifica.

Le assegnazioni sono definitive: e questo evita situazioni paradossali in cui progetti di valorizzazione che raggiungono buoni risultati, vivono nell’incertezza della scadenza della concessione. Ma il bando ha un limite, cui bisogna porre immediatamente rimedio: non mette a disposizione degli assegnatari risorse economiche per la ristrutturazione dei beni e l’avvio della fase di gestione delle attività. Vi è uno stanziamento simbolico di un milione di euro che, riferito a mille beni, diventa una somma del tutto inutile.

La Fondazione Con il Sud ha già sollecitato un intervento in tal senso, chiedendo che l’Agenzia possa utilizzare a tal fine 200 milioni riducendo, molto parzialmente, le risorse derivanti da confische di contanti e titoli, da trasferire al Fug (Fondo unico giustizia). Abbiamo fatto questa proposta sulla scorta di una decennale esperienza di sostegno a progetti del Terzo settore per la gestione e valorizzazione di beni confiscati alle mafie: 102 progetti in tutto il Sud, con erogazioni di poco inferiori ai 30 milioni. L’esperienza ci dice chiaramente che il problema non è solo “assegnare” il bene; non si vince, sui territori, la battaglia contro le mafie solo dimostrando ai cittadini che lo Stato è più forte perché strappa i beni ai boss e li concede a soggetti espressione della solidarietà, della legalità e della voglia di fare comunità.

È più forte, e vince definitivamente la battaglia, se i beni non restano inutilizzati, se la loro gestione è autosostenibile; se diventano presìdi di socialità e, in molti casi opportunità di sviluppo e di buona occupazione. A quel punto sui territori il consenso verso le mafie subisce un colpo durissimo, perché si vede che la legalità, oltre ad essere un irrinunciabile valore, “conviene”. Anche gli interventi del Pon sicurezza, negli anni scorsi hanno risentito di questo grave limite: risorse utilizzate per la ristrutturazione di beni confiscati, ma senza sostegno per le attività di valorizzazione e di gestione. Con situazioni davvero paradossali di beni perfettamente ristrutturati ed inutilizzati.

Grazie alla disponibilità di “Avvenire”, sempre attento e sensibile al tema, segnalo ancora l’urgenza di un intervento che consenta a questo bando di dispiegare tutte le sue potenzialità; che permetta altresì di fare una sperimentazione piena, non dimezzata; che conduca a conseguire importanti risultati sui territori. Per destinare 200 milioni a questo bando non c’è bisogno, credo, di un intervento legislativo, essendo la fattispecie prevista dal Codice Antimafia. Forse un atto del Governo, in particolare dei Ministeri dell’Economia, dell’Interno e della Giustizia. Quello che serve, in sostanza, è che la politica riconosca la centralità di questo tema e non lo consideri questione di caparbi, ma marginali addetti ai lavori.

Presidente Fondazione Con il Sud