Opinioni

La netta vittoria di Bersani su Renzi. Metà del quadro ora è un po’ più chiara

Sergio Soave martedì 4 dicembre 2012
L’esito delle primarie del centrosinistra definisce con una certa precisione non solo la candidatura a premier di Pierluigi Bersani attorno alla quale si articoleranno le varie liste di quell’area, ma anche i caratteri fondamentali dell’offerta politica che esprimono. Scartata l’ipotesi avanzata da Matteo Renzi, che il responsabile democratico per l’economia Stefano Fassina ha definito un po’ sprezzantemente ma non senza fondamento «neo-liberale», quella che ha ottenuto la maggioranza dei suffragi è un’impostazione e un sistema di alleanze che sembra replicare quella 'gioiosa macchina da guerra' che Achille Occhetto aveva costruito per la prima prova elettorale con un sistema maggioritario, nel lontano 1994.Naturalmente molte cose sono cambiate: nel Pd, a differenza del Pds di allora, c’è una presenza di dirigenti provenienti anche dalla file della Democrazia cristiana, che (salvo alcune eccezioni) si è caratterizzata per l’allineamento dietro il segretario candidato premier, scelta che è parsa più la difesa di un intreccio di convergenze (e di convenienze) che l’espressione di un’identità politico-culturale. Anche la dimensione comunque ragguardevole dei consensi raccolti dalla proposta innovativa di Renzi non resterà senza conseguenze, ma queste si dipaneranno nei tempi medi della politica, mentre sulle scelte immediate – liste elettorali e proposta di governo – prevarrà, com’è ovvio, l’impostazione del netto vincitore Bersani.Il segretario candidato si ritrova alla guida di una macchina che non gli somiglia del tutto, e che metterà alla prova il suo senso dell’equilibrio. Il rischio che si profila – simile, peraltro, a quello delle più recenti prove di governo della sinistra mediterranea: da Josè Luis Rodriguez Zapatero a Francois Hollande – è purtroppo di assistere a una compensazione tra la ristrettezza oggettiva di spazi per una politica economica e fiscale che possa soddisfare le attese e le pretese della sinistra più radicale e una accentuazione delle forzature sui temi eticamente sensibili all’insegna della teoria dei 'nuovi diritti'.Resta il fatto che l’attuale coalizione di centrosinistra – o, come già la si chiama, di sinistra-sinistra – ha messo le carte in tavola, e lo ha fatto con una procedura democratica di grande valore e forte impatto. E questo è un dato molto importante per il chiarimento del quadro politico. Non è ancora definita, sembra anzi sempre più confusa e contraddittoria, la qualità (e l’esistenza stessa) di una o più offerte politiche alternative a quella che ruota attorno a Bersani.Silvio Berlusconi, che nel 1994 seppe federare le forze che non accettavano la prospettiva, allora considerata ineluttabile, del 'governo dei progressisti', pare intenzionato a riproporre, ma questa volta in piccolo e non in grande, quella che sembra solo una parodia di quell’operazione che ha segnato la vicenda italiana dell’ultimo ventennio. Altri nel Pdl puntano su alleanze più vaste, possibili solo in seguito alla rinuncia reciproca a posizioni (e a velleità) egemoniche: una strada resa ardua dalle ostilità che si sono accumulate tra i leader del centrodestra e dell’area moderata.L’area centrista, per parte sua, non è ancora uscita dal dilemma tra una ipotesi di autosufficienza minoritaria e l’impegno per la costruzione di un sistema di alleanze che si presenti come effettivamente competitivo e che getti le basi per un soggetto moderato e riformista in grado di rappresentare un grande settore di cittadinanza. Il fatto nuovo, anche se largamente previsto, della configurazione concretamente assunta dalla proposta di centrosinistra, può e probabilmente dovrebbe rappresentare lo stimolo a fornire una risposta meno frammentata e più attenta alla prospettiva complessiva.L’impresa non è semplice, anche per l’oscillazione dell’umore dei ceti tradizionalmente centrali dell’elettorato moderato tra responsabilità e protesta, che si riflette, pur senza giustificarla, nell’oscillazione delle posizioni politiche di vari esponenti rilevanti di quell’area. D’altra parte, chi non si vuole rassegnare a perdere la partita con Bersani per abbandono di campo, ha ora il compito di aggregare e includere, abitudine che da quelle parti si è perduta da tempo, con le conseguenze di litigiosa frammentazione e di apertura di spazi immensi allo sberleffo di pura indignazione che sono sotto gli occhi di tutti.