Opinioni

IMU E NON PROFIT. Meglio tardi che mai

Marco Tarquinio domenica 3 febbraio 2013
L’altro «non pro­fit » s’è sveglia­to, definitivamente. Il mondo delle attività sociali senza fini di lucro è una realtà vasta – cattolica, certo, ma anche di altri e diversi riferimenti ideali, laici e religiosi – che fa migliore la nostra società e offre riferimenti buoni, rendendo un po’ meno grama la vita di tan­ta gente soprattutto in questi tempi di crisi. Non è una realtà solo italiana, ma in Italia è presente in modo unico e speciale, facendo da base a un «wel­fare sussidiario», a una rete di solidarietà che il re­sto dell’Europa non conosce in questa forma, che solo ora sta scoprendo e tentando di imitare (gli in­glesi l’hanno ribattezzato big society) e che, però, le attuali regole vigenti nella Ue non comprendono e, dunque, possono penalizzare. Una lunga e ostile battaglia politico-mediatica portata appunto sino in Europa,a Bruxelles, al grido di «mor­te ai privilegi della Chiesa cattolica» ha costretto l’I­talia a rivedere le proprie norme in materia di «non profit» tassando una buona parte delle attività di que­sto tipo svolte anche con «modalità commerciali» (bolle di accompagnamento, affidamento in gestio­ne di una mensa o di un circolo culturale pur senza fini di lucro, rette mirate alla pura sopravvivenza di realtà educative e di accoglienza...) e perciò accusa­te di essere attività comunque «commerciali».Sono le norme varate dal governo Monti dopo un lungo negoziato con la Commissione europea. E se fosse passata integralmente la linea caldeggiata dai nemici del «non profit» (nonché da un incredibile parere di una sezione del Consiglio di Stato che, per fortuna, il governo non ha considerato fondato in quelle argomentazioni) sarebbe stato ancor peggio... Ora anche l’altro «non profit», a cominciare da quello fiorentino e “di sinistra”, ha deciso di farsi sentire sonoramente contro la tassazione pesante e «ingiusta» sui luoghi dove svolge le proprie attività. Fa bene a farlo, anche se un po’ in ritardo. E noi diamo voce a una protesta fondata, dolente e grave. La stessa voce che, per così dire, le avevamo prestato in anticipo, quando i portavoce di questo mondo tacevano e noi, su questo giornale, scrivevamo e dimostravamo in solitudine, carte alla mano, che non c’era una norma (e neanche mezzo codicillo) confezionata ad ecclesiam e che tutto ciò che si stava dicendo di falso contro le attività sociali della Chiesa era in realtà mirato contro l’intero mondo del «non profit». Perché le attività «for profit», cioè davvero commerciali, dei cattolici come di chiunque altro, sono sempre state soggette a tassazione (e chi eventualmente non paga il dovuto – l’abbiamo ripetuto infinite volte – è un evasore, non un privilegiato). Perché l’obiettivo – ideologico – di qualcuno era e resta quello di mortificare e tassare la solidarietà. I radicali e tanti, troppi, giornali – soprattutto quelli “di sinistra”: da Repubblica al Manifesto, dal Fatto e, prima dell’attuale direzione, anche a l’Unità – hanno continuato imperterriti a dare spazio, ragione e titoli alle false tesi di coloro che – lo scrissi per due giorni di seguito pubblicando il 7 dicembre 2011 un editoriale intitolato provocatoriamente “La vergogna dell’Ici” e, per sfida, ripubblicandolo identico il giorno successivo – mentivano sapendo di mentire. Costoro, assieme ai radicali, cioè agli iper-liberisti portabandiera di una battaglia profondamente anti-solidarista, hanno contribuito a creare il caso europeo che ha portato alla «bastonatura» di tutto il «non profit» italiano. Non è mai troppo tardi per rendersene conto. E per lavorare per cambiare le regole europee e italiane. Abbiamo tanto da dare all’Europa, non solo ottuso anticlericalismo di stampo ottocentesco e autolesionistiche campagne contro l’altra economia e l’altro welfare.