Opinioni

L'amicizia tra i popoli è possibile. Meeting, cuore e incontro

Giorgio Paolucci giovedì 27 agosto 2015
Voi da che parte state? In quale schema politico vi riconoscete? In quale contenitore vi possiamo incasellare? Sono gli interrogativi con cui puntualmente, da anni, si misura il Meeting di Rimini, che ieri ha chiuso la sua trentaseiesima edizione. Ma quegli interrogativi non fanno altro che ridurre la portata di un evento a cui il teatrino della politica italiana sta decisamente stretto. È vero, in questi giorni sono arrivati sei ministri, è arrivato il premier Renzi. I problemi della gente chiedono soluzioni, e il compito delle istituzioni è quello di trovarle. Ma forse mai come quest’anno è apparso chiaro che per indicare soluzioni bisogna capire qual è la direzione di marcia, e per capirlo è necessario interrogarsi su qual è l’idea di uomo e di convivenza che la sottende.  Domande, dobbiamo tornare a farci domande pesanti, in un tempo in cui molti propongono risposte a buon mercato, falsi infiniti, formule tanto apparentemente efficaci quanto illusorie e di corto respiro, perché parlano alla pancia piuttosto che alla testa, perché non partono dal cuore, quell’unicum di cui ogni uomo è dotato e che è il criterio più autentico per misurare la verità di quanto gli viene proposto.  Il titolo scelto quest’anno, un verso del poeta Mario Luzi, è andato al fondo della questione: «Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?». La mancanza indica qualcosa che ci è necessario e che non siamo capaci di procurarci con le sole nostre forze. Non è il segno di un’amputazione, ma il campanello che ci avverte che la nostra natura è fatta per cose grandi. E quando le incontra mette in movimento la persona, genera rapporti nuovi, comincia a cambiare una società. Il Meeting ha proposto personalità che vivono questa dinamica, provenienti da latitudini culturali, religiose, politiche, artistiche le più diverse. Non ha sciorinato analisi studiate a tavolino, ha messo sotto i riflettori testimoni resi affascinanti e credibili per l’esperienza che vivono e per la capacità di confrontarsi con chi è diverso da loro ma accomunato dalla medesima esigenza di verità. In questo senso, la kermesse riminese può essere considerata come una declinazione significativa di quella cultura dell’incontro che è uno dei capisaldi di questo pontificato.  Declinazione 'ante litteram', nel senso che la manifestazione nata dall’albero di Comunione e Liberazione ha messo a tema fin dalle sue origini – e nel suo stesso nome – la dimensione dell’incontro come costitutiva della natura umana, e negli anni ha testimoniato che l’amicizia tra i popoli è qualcosa di possibile. Ma questa dinamica, come Papa Francesco ha sapientemente intuito, oggi è diventata una necessità storica, vero spartiacque tra chi predica l’ineluttabilità della contrapposizione con il nemico di turno e quanti preferiscono la ritirata in un 'particulare' solo apparentemente consolatorio.  Nell’epoca del crollo delle evidenze, quando molto di ciò che sembrava indiscutibile patrimonio comune viene messo in discussione e sacrificato sull’altare di molteplici verità, i cristiani sono chiamati a offrire una testimonianza radicale e disarmata di ciò che dà significato all’esistenza. A loro, come ha scritto Francesco nel messaggio inviato a Rimini dal segretario di Stato Parolin, spetta il compito di iniziare processi più che occupare spazi. Per farlo in maniera efficace e utile al bene comune, è necessario che l’approfondimento della propria identità non si trasformi nell’edificazione di una roccaforte in cui attestarsi per resistere alle insidie del mondo, ma generi una capacità di incontro con l’altro. Perché l’altro non è un incidente di percorso da evitare, l’altro mi è necessario per capire di più chi sono io. Non è un caso che il titolo scelto per l’edizione 2016 del Meeting sia «Tu sei un bene per me». Un percorso che continua, più che uno schema in cui essere incasellati.