Opinioni

La sfida per una visione cattolica dell’educazione: deve essere universale . Maturità: l’ultimo dei riti di passaggio

Alessandro D'Avenia giovedì 18 giugno 2015
Maturità: uno degli ultimi riti di passaggio nella nostra cultura, come quando l’adolescente veniva abbandonato nel bosco per una notte e doveva sopravvivere da solo affrontandone i pericoli per poter essere accolto nella cerchia degli adulti. La scuola di oggi riesce a rendere questo rito effettivo o si è ridotto a una pratica ormai vuota? È compito solo della scuola? L’obiettivo dell’istruzione è la cultura e la scienza, l’obiettivo dell’insegnamento è l’autonomia. Sono inseparabili, ma hanno finalità specifiche che è bene distinguere per poi poterle unire. Un insegnante nell’atto stesso dell’istruire educa, e nell’educare istruisce. Chi separa forzosamente queste due dimensioni pensando di poterle agire separatamente produce: o nozionismi che saranno presto dimenticati, non avendo presa sulla persona nella sua interezza, confinate solo in una zona periferica e non utile all’autonomia; o automi, cioè uomini e donne che ripetono gesti che non hanno vagliato personalmente ma si sono attaccati addosso per imitazione e contagio, non per interiorizzazione.Come dunque insegnamento e istruzione trovano equilibrio nella loro differenza? Come si armonizzano nell’obiettivo di "pro-vocare" persone mature? Solo a patto che questa armonia sia coltivata ogni giorno dall’insegnante nella sua propria vita e offerta nel vissuto concreto ai propri studenti. Solo se l’insegnante coltiva e amplia la sua vita interiore, incoraggia la "conversazione interiore", cioè la capacità di abitare in se stessi in mezzo al flusso delle cose senza esserne travolti, dare ampio assenso alla vita senza esserne schiacciati. Insomma, essere maturi è umanizzare l’uomo (cosa che riguarda tutte le età della vita e non solo i diciottenni), distinguendosi dagli animali che sono totalmente "nel mondo" e si limitano a reagire alle sue sollecitazioni, mentre l’uomo è, sì, nel mondo ma è anche contemporaneamente di fronte al mondo: ha uno spazio dentro di sé grazie al quale lo considera, lo interiorizza, lo valuta: «Quello che i sensi e l’intelletto pongono di fronte è un mondo di cose; l’importanza che esse possiedono ai fini della costituzione del mondo interiore, come alimento spirituale, le denota come oggetti di valore o come beni. Nella misura in cui i beni sono prodotti dello spirito umano, suscitati dalla sua attività creativa, li designiamo come beni culturali. Essi hanno un’esistenza autonoma, svincolata dal suo autore. Per lo più è un oggetto materiale a costituire la materia prima del loro essere. Ma ciò che costituisce il loro valore è qualcosa di spirituale; un elemento di vita spirituale è misteriosamente imprigionato in loro, e può essere afferrato dall’anima che ne viene a contatto. Se li consideriamo sotto questo punto di vista, li chiameremo beni educativi. Più ancora che dal rapporto col complesso di questi beni, l’anima si avvantaggia nell’avere rapporto con i loro eventuali autori, con le persone viventi. Lo sviluppo dell’anima e quello del suo ambiente spirituale procedono di pari passo. Il compito degli educatori è quello di fornire questi materiali». Questo scrive Edith Stein, in La vita come totalità.Non è un caso che la patrona d’Europa, morta in campo di concentramento, intitoli così il suo libro. La vita come totalità: credo sia questa la sfida per una visione cattolica dell’educazione, che non significa una visione confessionale, catechistica, parziale, ma appunto universale, cioè quella che riconduce ad "unità" l’immensa varietà di oggetti del mondo, rispettandola. Visione cattolica significa guardare le cose all’interno della visione che ne ha Cristo: come guarderebbe quell’uomo, quella donna, quel filo d’erba, quell’albero? In tutta la sua ampiezza e verità, per il suo pieno compimento. Partecipiamo noi di questo sguardo? Solo partecipandovi e coltivandolo in noi potremo generare personalità mature, perché il dinamismo della maturità non è lineare, non siamo macchine, ma procede a stadi. Nel ragazzo viene risvegliato uno stadio ulteriore, che egli vorrà raggiungere perché ne sente l’attrazione, il desiderio, la bellezza. Per questo la maturità può conoscere fughe in avanti rispetto all’età (basti pensare a ragazzi che hanno sofferto molto) o regressioni nonostante l’età raggiunta. La maturità non è mai data per acquisita, è un dinamismo continuo, che avrà un percorso armonico nella misura in cui si orienta la persona alla sua pienezza, in ogni tappa della sua vita. Questo è educare: «L’insegnamento non è che una parte dell’educazione. Ma col termine educazione intendiamo la formazione dell’essere umano nel suo complesso, con tutte le sue forze e tutte le sue capacità. Cos’altro vogliamo raggiungere coll’educazione se non che il giovane che ci è affidato divenga un essere umano vero, autentico e autenticamente se stesso (sia nel senso generale della natura umana quanto in quello particolare della personalità individuale). Come conseguire però questo fine? L’educatore deve possedere un’idea chiara riguardo a in che consista l’educazione, cioè l’autentica natura umana e l’autentica individualità. Formare esseri umani autentici significa formarli ad immagine di Cristo, ma per farlo l’educatore deve essere lui stesso un essere umano autentico» (ibidem). Credo che questa sia la sfida della maturità, vero esame e rito di passaggio, in ogni età della nostra vita.