Opinioni

Dna umano. «Gene editing», l’Oms lascia la porta aperta

Assuntina Morresi venerdì 3 settembre 2021

Lo scorso luglio sono stati presentati tre rapporti elaborati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) riguardo il gene editing, la tecnica di manipolazione genetica che consente di intervenire sul Dna con una precisione senza precedenti grazie a recenti innovazioni come il Crispr-Cas9, la “forbice” molecolare con cui è possibile fare un “taglia e cuci” microscopico e chirurgico del Dna delle specie viventi, e che è valsa il premio Nobel per la Chimica, nel 2020, a Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier. Il primo,“ Human genome editing: a framework for governance” (Editing del genoma umano: un contesto operativo per la governance), presenta un quadro di riferimento all’interno del quale costruire strumenti e procedure per monitorare a livello internazionale l’evoluzione delle applicazioni di questa tecnica. Il secondo, “Human genome editing: recommendation”, individua in nove punti altrettante linee operative, per attuare le indicazioni sulla governance del primo testo. I due documenti sono stati sintetizzati in un terzo, di sole sei pagine: “Humane genome editing: position paper”.

Con questa operazione, l’Oms si è attribuito il ruolo di riferimento mondiale per la governance del gene editing sull’umano e l’ha fatto sottolineando con molta enfasi la leadership morale della stessa Oms e del suo direttore generale, avocando a sé la raccolta dei dati e i criteri di regolamentazione delle sperimentazioni dal punto di vista etico. Un passo accelerato soprattutto dall’annuncio del ricercatore He Jiankui della nascita di due gemelline cinesi con il Dna “editato” (delle quali a tutt’oggi non abbiamo notizie, mentre sappiamo che lo studioso è in prigione). Era il 2018, e nello stesso anno presso l’Oms si è insediato un gruppo di lavoro “Expert Advisory Committee on Developing Global Standards for Governance and Oversight of Human Genome Editing” (Comitato consultivo di esperti sullo sviluppo di standard globali per la governance e la supervisione dell’editing del genoma umano): 18 esperti da tutto il mondo per esaminare gli aspetti scientifici, etici, sociali e legali associati al nuovo sviluppo biotecnologico.

Fin dall’inizio era chiaro che questo Comitato non si sarebbe occupato della sicurezza ed efficacia delle tecniche di gene editing, cioè di valutare strettamente lo stato dell’arte nel settore, nello specifico delle applicazioni tecnologiche: a quello è dedicato un gruppo di lavoro diverso, l’”International Commission on the Clinical Use of Human Germline Genome Editing” (Commissione internazionale sull’uso clinico umano del gene editing nella linea germinale umana, dove per “linea germinale umana” si intendono gameti ed embrioni umani). Quest’ultima commissione è nata nell’ambito delle conferenze delle accademie scientifiche e mediche americana, inglese e cinese, che si sono organizzate per valutare ed illustrare l’avanzamento della ricerca in riferimento alla rivoluzione portata al gene editing dal Crispr-Cas9.

Uno dei punti qualificanti del rapporto riguarda l’implementazione di un registro globale delle sperimentazioni cliniche nell’umano con il gene editing, istituito all’interno della stessa Oms nel 2019; per ora sono raccolte le sperimentazioni sull’editing delle cellule somatiche, cioè sulle terapie geniche che coin- volgono cellule e tessuti di persone malate per difetti genetici, che vengono “riparati” modificandone il Dna limitatamente alle parti malfunzionanti. Per questo tipo di interventi le modifiche apportate al Dna non vengono ereditate. Viene però già detto che il Registro raccoglierà anche i dati di eventuali, future sperimentazioni cliniche di gene editing in cui il Dna modificato potrà trasmettersi alle generazioni successive, quindi sperimentazioni su gameti ed embrioni umani, e anche precliniche, cioè sia di gameti per embrioni da formare che di embrioni già formati, tutti non destinati a essere trasferiti in utero.

Elencati principi etici a cui riferirsi, come giustizia e solidarietà, trasparenza e responsabilità, rispetto per le persone. Sta a tutti noi declinarli concretamente, esplicitandone il significato

L’Oms non esclude tout court che si possano far nascere bambini “editati” ma si limita a ribadire la necessità di evitare un “uso prematuro” di queste procedure, ricordando chiaramente quanto già affermato nel 2019: «Sarebbe irresponsabile in questo momento, per chiunque, procedere con applicazioni cliniche all’editing della linea germinale umana». Non ci sono più dei no, limiti di principio a questo tipo di ricerca, e anche la parola “moratoria”, proposta da gruppi di scienziati autorevoli qualche anno fa, all’inizio delle applicazioni con la nuova tecnica, è ormai acqua passata.

L’Oms individua comunque cinque ambiti possibili di applicazione del gene editing, per i quali vanno previste misure di governance: l’editing del genoma umano nei nati e in quelli ancora in utero; l’editing ereditabile, quello epigenetico e infine il gene editing con l’obiettivo del potenziamento umano. Da notare l’uso, per la prima volta, delle diverse espressioni “germline genome editing”, e “heritable genome editing”: con la prima si indica la manipolazione genetica di gameti ed embrioni solo in vitro, mentre con la seconda la medesima manipolazione ma con finalità riproduttive, cioè in previsione di far nascere un bambino “editato”. La novità linguistica ricorda molto l’analogo tentativo di distinguere la clonazione “terapeutica” da quella “riproduttiva”, dove la prima indicava la possibilità di clonare embrioni umani per distruggerli in laboratorio e ricavarne cellule staminali, e la seconda invece destinava gli embrioni clonati al trasferimento in utero per portarli a nascita.

Una differenza che suscitò all’epoca enormi discussioni in tutto il mondo: ricordiamo la formulazione di un protocollo aggiuntivo della Convenzione di Oviedo, per proibire la clonazione riproduttiva. A distanza di più di venti anni i rapporti Oms con le relative analoghe distinzioni hanno fatto notizia solo fra gli addetti ai lavori. Eppure è evidente che per poter far nascere un bambino “editato” gli studi in vitro sono necessari e propedeutici, e quindi la distinzione fra le due linee di ricerca è per lo meno controversa. Per ognuno dei cinque ambiti di applicazione descritti il documento propone punti chiave di governo, una sorta di check list in forma di questionario che si può utilizzare in tutti i paesi del mondo a prescindere dalle diverse regolamentazioni. Le domande sono interlocutorie, del tipo «se le misure esistenti di sorveglianza non sono adeguate, ci sono piani per crearne di nuove o per fare affidamento a una revisione regolamentare e approvazione da un soggetto esterno? E se così, quale/i soggetto/ i?»: con questa impostazione è possibile verificare se esista e quale sia, in ciascun paese del mondo, il monitoraggio sull’uso del gene editing sull’umano, senza indicarne qualcuno in particolare.


Non ci sono più limiti di principio a questo tipo di ricerca, e anche la parola “moratoria” è ormai acqua passata


Viene quindi ormai confermato il criterio secondo il quale “regolamentare” non implica mai dei “no”, ma piuttosto “si, a condizione che”. E le condizioni sono sempre relative alla sicurezza ed efficacia delle tecniche applicate alle persone e quindi alla definizione e valutazione del rapporto rischi/benefici, dove però la valutazione si limita all’aspetto tecnologico, di laboratorio, e di salute del singolo, e non prende neppure in considerazione l’impatto antropologico e sociale. Vengono comunque elencati principi etici a cui riferirsi, fra cui giustizia e solidarietà, trasparenza e responsabilità, rispetto per le persone. Sta a tutti noi declinarli concretamente, esplicitandone il significato.