Opinioni

Un giusto impegno. Mai omofobia ma senza confusione

Luciano Moia giovedì 18 maggio 2017

Nella ricetta per la lotta all’omofobia il principio di non contraddizione è un ingrediente decisivo. Meglio se condito con un pizzico di discernimento e con una buona base di realismo. La non contraddizione è indispensabile per evitare di trasformare le diversità che si annuncia di voler difendere, con tutta la stratificazione culturale connessa, in modelli da seguire in modo indiscriminato. Rispetto umano e pari dignità personale – sempre e comunque fuori discussione – non possono tradursi ipso facto in un atteggiamento che omologa la dimensione etica di ogni orientamento sessuale e confonde i piani della cultura e della politica e da un punto di vista eccelsiale, con quelli della morale e della pastorale. Un equilibro che ieri, purtroppo, nei tanti proclami lanciati in occasione della “Giornata per il contrasto all’omofobia e alla transfobia”, non sempre è stato agevole rintracciare.

Non parliamo solo delle dichiarazioni di vari politici. Il problema evidentemente non si risolve solo invocando la tolleranza, rifiutando l’odio e la violenza, auspicando la non esclusione. E chi non sarebbe d’accordo? La preoccupazione nasce quando, soprattutto su aspetti così delicati e complessi come l’accoglienza delle diversità sessuali – con la comprensione delle speranze e delle sofferenze che sempre vi sono connesse –, anche le comunità cristiane mostrano atteggiamenti divergenti, talvolta non sempre facilmente comprensibili. Aprire le chiese e concedere spazi sui sagrati a chi dice di voler pregare per il superamento di ogni atteggiamento omofobo? Chiudere, vietare, prendere le distanze da richieste in cui forse, a sinceri aneliti spirituali si mescolano, più o meno consapevolmente, ambivalenti finalità ideologiche? Insomma, come separare l’accoglienza pastorale dal riconoscimento culturale e dal sostegno politico? Qui si apre lo spazio del discernimento.

Le parole scritte del Papa in Amoris laetitia – al di là dei tanti riferimenti verbali nei discorsi e nelle risposte offerte nelle varie conferenze stampa – sono difficilmente equivocabili. «Desideriamo anzitutto ribadire che ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto». Da qui l’obbligo pastorale di accompagnare queste persone per aiutarle a «realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita» (Al 250). Ma pastorale vuol dire prassi. E nella prassi ci sono i comportamenti personali, affettività e sessualità comprese. È l’aspetto più delicato. Com’è noto, anche all’interno dei gruppi di omosessuali credenti, esistono esperienze diverse. Ci sono coloro che, riconoscendosi nella tradizione cattolica ribadita nel Catechismo, sostengono la necessità di una vita affettiva condotta nella castità. Ma c’è anche chi, vescovi e teologi compresi, chiede alla Chiesa una riflessione più profonda sul significato della sessualità senza escludere una revisione della teologia morale.

Un dibattito che sembra implicitamente incoraggiato anche da Amoris laetitia che, a differenza dei precedenti documenti magisteriali sul tema, non fa seguire agli auspici di una più coraggiosa prassi pastorale, valutazioni di ordine morale. Sarebbe un errore però pensare che incoraggiare la teologia a interrogarsi sui segni dei tempi – come è sempre capitato – significhi automaticamente legittimare comportamenti che interrogano comunque la coscienza e non possono diventare oggetto né di aperture indiscriminate né di indicazioni collettive. Perché quando la tendenza omosessuale si trasforma in corrente di pensiero e punta a trasformare alcune legittime richieste di diritti in rivendicazioni culturali, è giusto dissentire.

L’orientamento sessuale non può diventare movimento d’opinione che, in alcuni casi, pretende anche di delineare un’antropologia finalizzata al superamento e all’annullamento della differenza sessuale (gender). Così Amoris laetitia: «Una cosa è comprendere la fragilità umana o la complessità della vita, altra è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli aspetti inseparabili della realtà» (Al, 56). Insomma, sì all’accoglienza umana e pastorale (anche con percorsi tutti da delineare), no all’accettazione acritica di modelli culturali che spesso discendono da quegli stili di vita.

Una distinzione che non può essere ignorata anche sul piano educativo. Spiegare nelle scuole l’accettazione della diversità e il dovere di opporsi a ogni atteggiamento discriminatorio, non può scivolare in quella confusione in cui troppo spesso si teorizza come momento liberante la separazione tra dato biologico e ruolo socio-culturale della sessualità. Discernimento, appunto. Cioè passo dopo passo verso la verità.