Opinioni

Mai il bene va fatto male. Corsa ai vaccini e vaccini di corsa

Roberto Colombo sabato 21 novembre 2020

È vertiginoso il ricorrersi dei comunicati delle mega-aziende biotech e del farmaco (Pfizer-BioNTech, ModernaTx, Oxford-AstraZeneca e altre) sui risultati degli studi di Fase 3 per i candidati vaccini anti-Covid, molti dei quali classificati ' ad interim' (provvisori) perché ancora parziali quanto alla numerosità del campione di soggetti e/o al periodo di osservazione. Questa frenesia non è solo il volto pubblico del rush finale dell’imponente sforzo di ricerca e di produzione pilota delle prime decine di migliaia di dosi vaccinali destinate alla somministrazione nei volontari di studio, ma anche il segnale di una competizione industriale e finanziaria innescata per accaparrarsi le commesse internazionali per centinaia di milioni di confezioni, con un fatturato da capogiro.

I grandi produttori si sono impegnati ad auto-calmierare i costi richiesti agli Stati per l’approvvigionamento delle dosi per i programmi di vaccinazione, ma le commesse sono comunque di grande valore remunerativo, senza contare l’indotto della catena commerciale e di trasporto per la loro distribuzione. La posta in gioco è alta e si comprende come la ricerca stimolata dal nuovo coronavirus non è solo quella del 'sapere' della scienza e del 'saper fare' delle biotecnologie mediche, ma anche quella dell’economia e della finanza.

Inutile ripiangere alternative non profit, purtroppo incapaci di raggiungere obiettivi paragonabili e in tempi utili. Questi soggetti, individuali o cooperativi, pur dotati di conoscenze e competenze e di entusiasmo per raggiungere l’obiettivo, sono privi di esperienza, grandi impianti, personale qualificato e rete di distribuzione.

E non sono in grado sostenere una produzione capace di soddisfare la domanda di un così elevato numero di dosi iniettabili. Resta una domanda, inevitabile: competizione, antagonismi, partite da conquistare (e forse qualche sgambetto) non rischiano di perseguire il 'bene' del vaccino nella lotta alla pandemia facendolo 'male'? Un prete milanese, il beato Luigi Monza, fondatore del centro di ricerca e cura 'La nostra famiglia', era solito dire: «Il bene deve essere fatto bene. Il Signore ci domanderà conto non del tanto che abbiamo fatto, ma del poco bene fatto bene». Il rischio è serio: quello di sollecitare una strada che non corrisponde alla salute integrale della persona, alla gestione corretta delle risorse pubbliche e alla giustizia nella distribuzione dei beni tra tutti gli uomini, in particolare i più poveri di assistenza socio-sanitaria.

L’efficacia di un vaccino non è solo questione di 'successo' statistico nel prevenire l’infezione o attenuarne le conseguenze nella popolazione, ma anche di 'confidenza' dei singoli vaccinati nel potersi esporre a un rischio ragionevole di contatto (pur indossando dispositivi, ma che non proteggono al 100%) con possibili soggetti infettivi, senza compromettere la propria salute. La corsa a una evidenza provvisoria-anticipatoria di efficacia non è garanzia del conseguimento di una evidenza definitiva- conclusiva, né può essere un sostituto di essa.

Un secondo rischio è legato al dispiegamento di ingenti somme di denaro pubblico in contratti di fornitura di milioni di dosi di vaccino, decisione fatta di corsa per accaparrarsi un prodotto sulla base dei soli dati preliminari sulla sua reale efficacia, senza una valutazione complessiva e condivisa tra i medici della praticabilità del suo impiego in condizioni ordinarie (non sperimentali), tenuto conto dell’efficienza del sistema sanitario di ogni Stato o Regione. Siamo di fronte a un buon uso delle limitate risorse a disposizione per fronteggiare la pandemia, senza deprivare altri investimenti necessari per diagnosi e cura del Covid-19? Non meno importante, nella valutazione degli investimenti per i vaccini prodotti nei Paesi biotecnologicamente avanzati, occorre tenere conto delle condizioni socio-sanitarie e logistiche per una loro esportabilità in situazioni di povertà e carenza di strutture assistenziali. C’è dunque, come è stato giustamente sottolineato, una questione di brevetti, ostacolo per una produzione liberalizzata, ma anche il nodo delle caratteristiche stesse dei vaccini (stabilità, conservazione, modalità di sommini-strazione, durata della immunità, accettabilità da parte delle popolazioni), che non sono ugualmente positive per tutti e in tutte le situazioni. Teniamolo a mente.