Opinioni

La Giornata Onu e due diverse classifiche. Ma qual è la felicità che davvero conta?

Giuseppe Lorizio mercoledì 20 marzo 2019

In vista della Giornata della felicità indetta dall’Onu, che si celebra oggi, sono stati riportati dai media i risultati della classifica dei Paesi più felici del mondo, che per il 2018 sarebbero Finlandia, Norvegia e Danimarca, seguiti da Islanda, Svizzera e Paesi Bassi. L’Italia si situa al 47ª posto, dopo la Thailandia e prima dell’Ecuador, mentre la Grecia è addirittura 79ª, solo un gradino prima del Tagikistan, ultimo il Burundi, preceduto dalla Repubblica Centrafricana, dal Sud Sudan, dalla Tanzania e dallo Yemen. Contemporaneamente, un quotidiano italiano che pure riserva la sua attenzione prevalente all’economia, ci fa rilevare che abbiamo tutti a che fare anche con un’altra classifica, molto più inquietante, «in cui è meglio stare alla larga dalle prime posizioni: quella dei suicidi. E dove le sorprese non mancano. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, la felice Finlandia è addirittura 32ª – dopo un nugolo di Paesi africani e il Belgio – l’Islanda 40ª, la Svezia 51ª, la Svizzera 61ª, l’Olanda 81ª e la Danimarca 89ª. L’Italia? Addirittura 142ª, con un tasso di suicidi ogni 100mila abitanti che è quasi un terzo di quello finlandese. La Grecia? Nonostante la crisi è 157ª su 183 Paesi».

E il giornalista si chiede «perché nei Paesi ricchi e 'felici' ci si suicida di più che in Italia e in Grecia?». Le notizie fanno pensare e, soprattutto quest’ultima mi fa venire in mente il famoso verso di 'Pane e vino', del grande poeta tedesco Friedrich Hölderlin: «Grecia felice, casa di tutti i celesti», nonché le parole che il filosofo Hegel riservava ai greci, quando sosteneva che stiamo bene presso di loro perché sanno star bene in casa propria. Ma soprattutto la domanda rievoca, oltre il Vangelo delle beatitudini, la famosa espressione di Gesù di Nazareth: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli» (Mt 19,24). Certo, nessuno potrà dubitare del fatto che i Paesi che occupano i primi posti nella classifica della ricchezza, siano davvero più ricchi (mediamente) degli altri, ma inserire tale classifica in quella della felicità è l’equivoco mondano, che presiede le logiche della nostra società e della sua cultura diffusa.

Forse, a parziale difesa di chi l’ha pubblicata, la classifica della felicità paragonata con quella del numero dei suicidi, ci dice che l’essere felici non è né quantificabile né misurabile né paragonabile. Si tratta infatti di una dimensione dell’esistenza per la quale interiormente possiamo essere in armonia con Dio, con noi stessi, con gli altri, col mondo. E ciò può accadere anche in situazioni di precarietà economica e di fragilità sociale. Il «regno dei cieli», che nel vangelo di Matteo viene accostato alla beatitudine della povertà (innanzitutto spirituale), non è in primo luogo l’al di là, ma una condizione esistenziale, che abitiamo allorché riusciamo a vivere le suddette armonie.

Tuttavia, non possiamo non sottolineare che, proprio da uno di quei Paesi, che si situano nella fascia alta della classifica del benessere economico (la Svezia), si sta diffondendo nel villaggio globale, anche grazie ai media vecchi e nuovi, un messaggio di speranza, che punta sull’armonia con la natura e dice soprattutto ai giovani di mobilitarsi per la salvaguardia del pianeta. Greta Thunberg, proposta per il Nobel per la pace 2019, è così divenuta un’icona, che speriamo riesca a smuovere le coscienze di tanti, persino di tutti, perché – venerdì dopo venerdì – si capovolgano i paradigmi del pensiero calcolante, che mira solo alla soddisfazione dei propri bisogni e si ponga attenzione all’altro, che è il cosmo e che è il futuro. E a chi cataloga quello della sedicenne svedese come un fenomeno mediatico, per sminuirne la portata, si può rispondere che ben vengano tali fenomeni, con la speranza che sappiano incidere positivamente sulla nostra mentalità.

Teologo