Opinioni

Cercare le persone anche dietro le «urla» sui social. Ma l’odio-web si può smontare

Milena Santerini* martedì 29 novembre 2016

Caro direttore,

le persecuzioni sul web fanno male e le parole possono arrivare a uccidere, come nel caso delle vittime adolescenti del cyber bullismo, o delle giovani donne che si uccidono vedendo colpita la loro dignità. Arrivano al suicidio pensando che nulla sarà più come prima perché 'tutti' ormai sanno: la Rete è il mondo. Fanno molto male anche le valanghe di insulti, spesso crudeli, aggressivi e non di rado sgrammaticati che colpiscono i personaggi pubblici, colpevoli di difendere gli immigrati, i più deboli o di parlare in quanto donne.

Una ricerca di Vox-Osservatorio sui diritti dimostra che tra i tweet di odio cliccati ogni giorno in Italia quelli sessisti sono i più numerosi. Si sa, attaccando una donna c’è meno da perdere e cade anche la barriera della prudenza. Per questo, nella giornata della violenza contro le donne la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha pubblicato i commenti pieni di volgarità che le vengono rivolti ogni giorno a proposito dei suoi interventi in pubblico. Si tratta di una figura istituzionale che viene colpita come tutti (ma un po’ di più in quanto donna). Dietro quei nomi sono emersi però dei volti e della storie e la Presidente ha scelto di dialogare con loro.

Una persona che aveva inviato messaggi pesanti si è rivelata essere una 'signora tranquilla' oggi pentita, con una vita pesante, che è ancora capace di vergogna (a differenza di alcuni rappresentanti politici che continuano indisturbati a diffondere odio). Dietro il velo dell’anonimato emergono le persone, con le loro storie di fatica, che riversano su un capro espiatorio, meglio se più fortunato e potente, il loro disagio. Tempo fa è stata pubblicata sul sito di un grande giornale italiano la notizia di un bimbo rom di tre mesi morto di freddo in un campo, nella periferia di una grande città. Il 40% dei lettori del sito cliccarono sulla faccina col sorriso 'smile' dichiarandosi soddisfatti della sua morte. Decine di persone, insomma, hanno distrattamente approvato (o potrebbero aver gioito?) della morte assurda e ingiusta di un piccolo.

Ci si interroga su dove può arrivare l’odio. Anche in questo caso, le persone sono state raggiunte da domande pacate ma ferme di un giornalista-ricercatore sul perché avessero cliccato 'mi piace'. Anzitutto, molti non ricordavano di averlo fatto, tanto la ricezione di informazioni è divenuta superficiale. Alcuni hanno reagito con spavalderia, altri difendendosi oppure con ironia. Tutti hanno cominciato a riflettere. Il tempo per pensare e soprattutto un dialogo pacato su un tono diverso dalla concitazione hanno fatto tornare umane persone che a un primo sguardo avremmo potuto giudicare dei mostri morali.

Di fronte a fenomeni così imponenti di violenza sul web, quasi un effetto valanga dell’odio che ci travolge, ha prevalso finora lo sconforto e il timore di non avere soluzioni. Invece, abbiamo strumenti per reagire che non sono solo quelli della punizione e del controllo: il dialogo, la persuasione, il confronto personale, la riflessività, l’empatia da far rinascere verso gli altri. Dietro l’anonimato possono esserci macchine dell’odio, dell’antisemitismo o del razzismo, ma molte sono invece persone da raggiungere, capaci solo di sfogarsi ora coi potenti ora coi più deboli. C’è una grande responsabilità di chi manipola consapevolmente questi meccanismi.

E c’è da richiamare a responsabilità anche i grandi social media che non possono guadagnare sulla pubblicità nelle pagine dove contenuti d’odio attirano i clic di troll intolleranti e aggressivi: devono rimuovere velocemente questi contenuti offensivi che non hanno niente a che fare con la libertà d’espressione. Il discorso d’odio assomiglia all’urlo, si può rispondere con l’arma potente delle parole.

*Deputata Democrazia solidale Centro democratico Presidente Alleanza parlamentare contro l’intolleranza e il razzismo del Consiglio d’Europa