Opinioni

Misure anti-terrorismo. Ma la libertà rimane la nostra frontiera

Andrea Lavazza mercoledì 6 gennaio 2010
Forse Umar Farouk Abdulmutallab è un fanatico che si dispera in carcere perché non è riuscito a farsi saltare sul volo Delta Amsterdam-Detroit il giorno di Natale. Forse, "scampato il pericolo", il giovane nigeriano apprezza invece il fatto che con pochi danni a sé ha provocato un contraccolpo enorme sul sistema dei trasporti aerei americani ed europei. La falla che la sua azione ha messo in luce nel sistema di vigilanza sta mandando in fibrillazione l’intero apparato. Rallentamenti, disagi e costi per compagnie, viaggiatori e Paesi si sono immediatamente impennati, costringendo a una veloce corsa ai ripari per sventare altri possibili attacchi. Quando rende strutturale la paura, quando costringe a modificare stili e abitudini di vita, il terrorismo ha già riportato una vittoria parziale. Con la nuova minaccia nei cieli al-Qaeda sta obbligandoci a ricalibrare il difficilissimo equilibrio tra sicurezza da una parte, libertà e privacy dall’altra. L’introduzione dei cosiddetti «body scanner» negli scali internazionali, compresi Malpensa e Fiumicino, solleva dibattiti e comprensibili perplessità, ma appare un metodo avanzato per scongiurare l’introduzione di armi ed esplosivo a bordo degli aerei. Eppure, la "messa a nudo" davanti all’operatore di polizia, che comporta il passare attraverso la macchina, può essere certamente vissuta come una violazione della propria riservatezza e persino come un’umiliazione. In Gran Bretagna si paventa che, nel caso dei bambini, possa confliggere con le norme anti-pedofilia. Altri sottolineano l’imbarazzo di chi abbia subito o debba ancora subire alcuni tipi di operazioni chirurgiche. Si può anche pensare al disagio dei religiosi e di coloro che del pudore hanno ancora particolare considerazione. Si tratta, è chiaro, soltanto dell’esempio più recente e neppure del più eclatante. Al «body scanner» potremo pure assuefarci, diverso è il caso di più invasive limitazioni che discendono dal mutare il bilanciamento tra diritti e misure di protezione. Divieti e controlli motivati dalle minacce di attentati rappresentano sempre un travaso di potere, introducono un’ulteriore asimmetria tra cittadini e responsabili della sicurezza, aprono uno spiraglio – ed è la peggiore ipotesi – per abusi e atti di arbitrio. In sostanza, peggiorano in qualche misura la nostra esistenza. Certo, sono il prezzo da pagare per proteggere la nostra vita. E saremmo i primi a dolerci e a protestare se non si assumessero le misure ritenute necessarie e praticabili a difesa di passeggeri inermi. Sicché non vi è una regola che possa fissare il giusto mezzo fra libertà e sicurezza. Né, tuttavia, bisogna cedere all’emozione del momento. Alzare muri indiscriminati, bollare tutti i viaggiatori provenienti da Paesi musulmani come "soggetti a rischio", blindare le frontiere non servirà a dare garanzie assolute e, anzi, rischia di offrire strumenti alla stessa al-Qaeda, pronta a soffiare su tutto ciò che è capace di gettare diffidenza ed ostilità tra nazioni occidentali e mondo islamico. Il terrorismo dei kamikaze non può vincere nessuna guerra; ha però un obiettivo che è in grado di conseguire: innescare quei conflitti di civiltà spesso evocati, temuti e deprecati, che nei fatti non esistono. Finora. Le colombe, coloro che tentano il dialogo, su un fronte o sull’altro, per i fautori dello scontro sono nemici peggiori dei "falchi". Tenere basso il livello della paura e del sospetto, non alterare le nostre routine, tenere una linea di fermezza senza generalizzare, per quanto risulta possibile e ragionevole fare, rimane la strada maestra contro i piani dei terroristi. Che possono uccidere qualcuno, ma vogliono spaventare tutti, in modo da avere campo libero per la propria strategia di "sottomissione" di un modo di vita che disprezzano perché non capiscono. La libertà rimane la nostra frontiera. Da non sacrificare troppo alla sicurezza.