Opinioni

Dopo la Consulta. Suicidio assistito, ma c'è la resilienza del "buon medico"

Alberto Cozzi sabato 26 ottobre 2019

Caro direttore,

nelle ultime settimane molte voci si sono levate sui grandi temi della vita e della morte a commento della depenalizzazione condizionata dell’aiuto al suicidio, usando spesso in modo disinvolto e talora pretestuoso parole alte: diritti, dignità, libertà, autodeterminazione, dovere morale. Dietro questi concetti si cela la coscienza e la responsabilità di ogni individuo, specie se credente. Per comprendere appieno la portata di molte affermazioni tuttavia occorre confrontarsi con chi vive questi temi sulla propria pelle: da una parte i malati di patologie gravi e irreversibili che vivono sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili (assieme alle loro famiglie), dall’altra i medici che per professione (missione o vocazione, direbbe un credente) hanno il compito di tutelare la vita, curare e sedare il dolore grazie alla scienza e al sano sviluppo delle tecnologie. Tutto ciò nella cornice di una 'prassi clinica' della medicina che è esercizio concreto a favore dell’uomo, specie dei più deboli e fragili, mai superficiale e sempre capace di autocritica.

Entrare nel dramma di chi vive queste esperienze è cosa ardua e molto delicata, richiede rispetto per evitare affermazioni retoriche o apodittiche, ma occorre constatare che la stragrande maggioranza delle situazioni cliniche ordinarie è ben presidiata da uno stuolo di medici che si dedicano con competenza, costanza e umanità, specie sulle frontiere cliniche più complesse, facendo tutto il possibile e garantendo un rapporto di fiducia empatico e autentico. Un rapporto tuttavia non esente da sconfitte, errori, irrigidimenti, talora al punto da incrinare la stessa relazione medico-paziente. Senza avventurarmi in percorsi filosofici, tento tuttavia di riassumere i capisaldi della professione medica che per 40 anni ho vissuto sul campo (nelle cura di malati ricoverati o assistiti sul territorio).

In primis la battaglia 'per' e 'con' il malato per garantire a tutti una buona cura, con lo sguardo lucido e impietoso verso tutte quelle condizioni che ne calpestano la dignità (spesso di ordine economico, burocratico o di organizzazione sanitaria, oggi in costante aumento). Un’azione che si esercita nella responsabilità e nel dovere morale di stare accanto al malato, di ascoltare le sue sofferenze cercando di intuire quelle indecifrabili, sempre sulla soglia della sua libertà di scegliere e di decidere all’interno di una relazione professionale, ma prima ancora umana.

Tutto questo oltre alla vicinanza e all’ascolto della famiglia e di quanti lo assistono, come indicatori qualificati per comprenderne appieno tutte le pieghe del quotidiano della malattia (spesso la cartina al tornasole dell’autentico vissuto del paziente). E ancora: la fatica da sostenere quando ci si scontra con il tema del limite (della vita, delle scelte terapeutiche), l’arrendersi a una medicina solo palliativa per il bene del malato, la sconfitta quando si intravvede che la morte prende il sopravvento e diventa inarrestabile. In sintesi: cercare di esserci sempre, mai abbandonando il malato al suo destino, con una presenza che oggi sempre più viene richiesta o addirittura pretesa, di persona o attraverso l’esplosione dei mezzi mediatici; e tentare di infondere coraggio, positività e speranza anche nei momenti più bui.

Tutto questo mi ha insegnato l’esercizio di una professione a contatto con la bellezza e la fragilità dell’uomo, con un costante arricchimento reciproco, nella sfida contro la sofferenza e la morte, lungi da deliri di onnipotenza: una qualità e uno stile profondamente umani, una cura verso tutti indistintamente, prima ancora che vissuta da credente. Nello sconcerto di una classe medica oggi sempre più pressata direttamente o in modo subdolo verso richieste di soluzioni tecniche radicali, anche a disprezzo della vita, è urgente recuperare i valori di una buona medicina che non abdica al compito originario di pietà e rispetto nella relazione di cura, coniugando con intelligenza e cuore scienza e coscienza, ma sempre a favore della vita. Un compito inevitabile per affrontare situazioni disperate, arginare richieste improprie e contrastare il crescente burn out del medico.

Presidente Associazione medici cattolici di Milano