Opinioni

Il marchio e la grazia del pianto. L'unico antidoto

Marina Corradi domenica 14 settembre 2014
Davanti allo sterminato cimitero che è il Sacrario di Redipuglia i visitatori facilmente restano ammutoliti - sopraffatti da tanta morte. Davanti a quello sterminato cimitero il Papa, come egli stesso oppresso dalla immensa scalinata di marmo eretta in memoria di oltre centomila caduti della Grande Guerra, ha detto semplicemente, come accusando lo schiaffo: «Trovo da dire soltanto: la guerra è una follia». La guerra è folle, ha continuato, perché «il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!». E già in queste poche parole è sembrato di intravedere, della guerra,  il nucleo fondante: che procede come un cancro in un organismo, e si nutre di tutte le energie di un uomo e le divora, fino a quando, annientato il corpo, le stesse cellule cancerose muoiono, e nulla resta di vivo. Ha affrontato, Francesco, coi suoi occhi la infinita sequela della parola "presente" scolpita sui marmi di Redipuglia: quell’appello ai morti che senza parole rispondono, sotto all’immensità del cielo. Forse ha pensato che non c’è, fra i centomila, il soldato del 78esimo reggimento di fanteria Giovanni Carlo Bergoglio, classe 1884, mandato sull’Isonzo nel 1915. Non c’è, perché Giovanni Carlo Bergoglio, nonno del Papa, fece ritorno nelle sue colline astigiane; e ai figli e ai nipoti raccontò cos’è, la guerra. (Probabilmente con quelle poche pudiche e quasi scontrose parole di chi, la morte, l’ha vista in faccia davvero). Sui marmi candidi di Redipuglia si allarga, ha continuato Francesco, un’ombra: l’ombra di Caino. Colui che domandò: «Sono forse il custode di mio fratello?». Domanda che, ha detto il Papa, se ne sta sospesa su quello sconfinato cimitero, come un motto beffardo: «A me, che importa di mio fratello?».  Perché è da questa domanda, da questa comune radice che germina e si sviluppa il cancro. «A me, che importa?». ( A essere sinceri, quante volte interiormente non ci poniamo questa stessa banale, apparentemente innocua domanda? Eppure è il seme che nella distrazione e nella indifferenza allunga le radici; e talvolta l’erba maligna impazzisce, prolifica e si fa sterminata ragnatela. A Redipuglia si vede bene, di cosa è capace quel seme). È accaduto, potrebbe accadere ancora. Di nuovo il Papa nel giro di pochi giorni ha parlato di una «terza guerra mondiale a pezzi», in capitoli. La sola espressione fa tremare. Assurdo, ci diciamo fra noi nelle nostre città in pace, non può essere, non di nuovo. Ma bisogna sorvegliare quel seme. Che trova in noi l’humus in cui affondare le radici. E già di nuovo si allarga alle frontiere dell’Europa, e appena oltre il Mediterraneo; e già i morti e i profughi sono decine e decine di migliaia.  Che cosa può fermare l’insorgere e la metastasi del cancro antico? Francesco a Redipuglia ha detto una densa parola: «Caino - ha detto - non pianse ». Davanti ad Abele morto, Caino non provò dolore. Quel motto cinico, «che mi importa di mio fratello?», si era profondamente impadronito di lui. Caino non sapeva più piangere. Caino vive, certo, nei mercanti di morte e nei potenti rapaci e idolatri di sé, e nelle folle fanatiche e cieche; ma abita, inosservato, anche in quieti angoli di ciascuno di noi. Il seme si trasmette nelle generazioni. La salvezza, è poter piangere. Non guardare altrove, non cercare di distrarsi di fronte alle guerre che fiammeggiano lontane, non cambiare canale. Ma invece fissare lo sguardo in quelle folle di profughi e orfani e abbandonati, e piangere del loro e nostro male. Come forse i ragazzi del 78esimo reggimento di Fanteria - e quel Giovanni Carlo Bergoglio di cui a Francesco è stato consegnato ieri il foglio di matricola, numero 15.543 - piansero i loro compagni massacrati. E tornarono a casa, e ai figli e ai nipoti raccontarono. E in scarne parole era silenziosamente come impresso il marchio del pianto: la grazia del pianto, di chi sa che ogni vita e ogni morte ci riguarda. Unico antidoto al tumore che nella storia torna, germina e divora: quel semplice sguardo che riconosce in ogni volto illividito nella morte uno che somiglia a tuo padre, o che ha gli stessi anni di tuo figlio.