Opinioni

Il direttore risponde. L’unica strada: rispettare gli elettori

martedì 9 marzo 2010
Caro direttore,dire che il presidente della Repubblica non conosce la Costituzione è una offesa a tutti gli italiani. Okay: siamo in campagna elettorale, ma se una parte politica vuol presentarsi alle urne senza avversari, vorrei mi spiegasse qual è il partito che non rispetta la democrazia.

Pino Mazza, Australia

Caro direttore,i diritti degli elettori in democrazia sono importantissimi. Altrettanto fondamentale è però il rispetto del principio di legalità e la parità di fronte alla legge, che dovrebbero preservare la comunità nazionale dal privilegiare semplicemente chi urla più forte e dalla diffusione dell’immoralità come fondamento delle relazioni sociali. Eppure oggi ci viene manifestata come normale, anzi, come «paladina della democrazia», l’arroganza di chi, dopo aver pasticciato e aver già abbondantemente contribuito con i propri comportamenti e i propri candidati ad un’estesa e limacciosa zona grigia di assenza di legalità e uguaglianza all’interno del Paese, vorrebbe trasformare un torto in ragione, senza ammettere con onestà la propria sbadataggine ai fini di un compromesso politico riparatore. Come giustamente hanno sottolineato molti commentatori, anche Soave su Avvenire: elemento necessario per la riammissione era l’ammissione di colpa di chi ha sbagliato. Non c’è stata, anzi, è stato affermato di tutto contro tutti, pur di negare le proprie colpe. Oggi come ieri, quando Napolitano e la Corte Costituzionale, oltre che la categoria intera dei giudici, furono pubblicamente minacciati e insultati. Nell’ideologia berlusconiana il consenso elettorale è tutto, mette a tacere qualunque obiezione e critica legittima.

Umberto Fabbro, Padova

Caro direttore,le confesso il mio scoramento di fronte all’ennesima baraonda politica che affligge il nostro Paese. Siamo sempre in fibrillazione, i toni stabilmente esagitati, un tavolo da ping-pong dove i rimbalzi sono tra demagogia e autoritarismo, cortigianeria e qualunquismo. Sarà mai possibile vivere una stagione di pacato confronto civile, incentrato su contenuti e idee, e non su contumelie e delegittimazione reciproca? In merito alla vicenda delle liste che ci affligge oramai da diversi giorni, mi sembra che la prospettiva più ragionevole sia quella prospettata sin dall’inizio da Avvenire, col riconoscimento che pur in un mare di incongruenze e approssimazioni, l’aspetto fondamentale da tutelare sia la possibilità per una grande porzione dell’elettorato di esprimere il proprio orientamento. Come ritenere auspicabile che milioni di persone restino escluse dalla possibilità di concorrere alla scelta del governo regionale? Detto questo, mi auguro che condotte in porto queste votazioni, si provveda a ripulire le regole da farraginosità e ridondanze, cosicché alla prossima occasione ci sia risparmiato il teatrino di questi giorni.

Sandro Lecci

Caro direttore,a mente fredda ritengo che Napolitano abbia avuto ragione a firmare il decreto salva-liste. Posto che era impensabile votare senza la lista del maggiore partito di governo, il presidente della Repubblica ha fatto l’unica cosa che gli rimaneva da fare avendo chiesto comunque l’apporto delle opposizioni, che è mancato. Perché il Pd non ha cercato un compromesso? Perché non ha proposto niente? È inspiegabile questa atonia del partito d’opposizione Aveva il coltello dalla parte del manico; Bersani avrebbe potuto per esempio pretendere delle scuse ufficiali da parte dei vertici del Pdl (che hanno accusato giudici e avversari di sabotaggio) e la «riabilitazione» delle trasmissioni Rai oscurate. Invece ancora una volta abbiamo assistito al corto circuito di opposizioni pasticcione e divise tra di loro che si contraddicono, perché non ha senso infamare il decreto salva-liste e difendere Napolitano. Su questo Di Pietro almeno è coerente. Dal pasticcio-liste ancora una volta Berlusconi è riuscito a riportarci al pasticcio-opposizioni. Un disastro.

Gianluigi Vergari, Lecce

Le cronache politiche e giudiziarie di queste ore tanto quanto la varietà dei vostri accenti confermano, cari amici, che in questo nostro Paese i «casi» non si chiudono mai del tutto. Neanche a colpi di decreto. C’è sempre un Tar (soprattutto nel Lazio) che apre o riapre ogni questione. È una constatazione agrodolce, dalla quale ne discende un’altra: ogni esagerazione («siamo al golpe della maggioranza!», «c’è un complotto delle toghe!») è enormemente fuori luogo. Credo, insomma, che più senso delle proporzioni e dei beni da tutelare in una democrazia degna di questo nome aiuterebbero tutte le parti in causa a essere adeguate alla sfida di far «innamorare» di nuovo gli italiani della politica e dei pubblici poteri. Altrimenti, di questo passo, sarà dura. L’importante – e non faccio altro che ribadire la preoccupazione da noi espressa già nei giorni scorsi – è che non si vada, per cause formali, a inimmaginabili elezioni dimezzate in due regioni come il Lazio e la Lombardia. L’importante è che gli elettori – prima di tutto loro – siano messi in condizione, esercitando pienamente il diritto di voto, di giudicare la qualità (anche organizzativa) delle liste che si propongono in questa grande tornata amministrativa. L’importante è che si dia presto un minimo d’ordine al caos e che una robusta iniezione di senso delle istituzioni (e di semplice buon senso) ponga fine al clima di scontro generato da certi marchiani errori (del Pdl) e dalle esacerbate recriminazioni interessate (dell’Idv e, in parte, del Pd). Non è la solita via mediana di confuso sviluppo e di sospetta impraticabilità, è l’unica strada passabile e possibile.