Opinioni

La grande transizione/10 Gli incontri che "accendono" vocazioni spirituali e civili. La povertà rigenera il futuro

Luigino Bruni domenica 8 marzo 2015
I grandi processi di cambiamento, quelli capaci di rigenerare l’intero corpo e dare il via ad una nuova primavera, non sono mai innescati e guidati dalle élite che hanno governato la fase dell’emergere della crisi. Questa dinamica è nota e di portata generale, quindi vale anche per quelle realtà che abbiamo chiamato comunità e movimenti carismatici (perché nati da un carisma, da un dono di "occhi diversi" sul mondo). Il mestiere più difficile ma veramente fondamentale di chi si trova a gestire una realtà carismatica viva ma in declino è capire, possibilmente al momento giusto, che il processo più importante che deve attivare è creare, ritirandosi, spazi di libertà e di creatività che consentano l’emergere di nuove dinamiche e persone diverse da quelle da esse generate. E saperle vedere nel più giovane dei figli che pascola il gregge fuori dalla casa, in un bambino di una piccola città di Giuda, in un fratello scartato e venduto come schiavo. Quando invece le classi dirigenti pensano, spesso in buona fede, di dover gestire loro stesse il cambiamento, finiscono quasi inevitabilmente per accentuare la malattia che vorrebbero curare. Le realtà che fioriscono da moventi ideali sono di due tipologie: quelle che nascono fin dall’inizio come organizzazioni, e quelle che lo diventano dopo essere nate come movimento. Nelle prime, che abbiamo chiamato Organizzazioni a Movente Ideale (OMI), la fioritura e la durata dipendono decisamente dalla capacità di creare buone strutture, opere e organizzazioni robuste, agili, efficienti. Qui se il progetto dei fondatori non diventa "opera", tutto termina con la generazione dei promotori. Per le realtà nate movimento, accade invece esattamente il contrario: il movimento carismatico declina se una volta diventato organizzazione non riesce a rinascere continuamente come movimento, rinnovando e smantellando con coraggio le forme organizzative che ha generato, rimettendosi in cammino verso nuove terre. Anche in queste realtà arriva il momento dell’organizzazione, ma, se si bloccano in questa fase, la forza profetica del carisma si attenua molto, e in certi casi scompare. La vitalità profetica di un movimento carismatico sta nel generare molte OMI, senza però diventare esso stesso una OMI – perché in questo caso la Organizzazione divora il Movente Ideale. Un movimento diventato organizzazione può conoscere una nuova primavera carismatica quando in qualche zona marginale del "regno" alcune minoranze creative iniziano a ricostituire le condizioni per rivivere lo stesso "miracolo" della prima fondazione del carisma: lo stesso entusiasmo, la stessa gioia, gli stessi frutti. Il processo che porta queste minoranze a diventare maggioranza si chiama riforma, che è l’unica cura possibile di realtà collettive bloccate, ancora vive ma non più generative. Pertanto la vera operazione necessaria a un rinnovamento di un movimento diventato organizzazione e che vuole tornare movimento, è la comprensione da parte dei dirigenti del bisogno di creare quelle condizioni di nuova libertà e innovazione che porteranno altri, non loro, a rilanciare una nuova stagione carismatica, e così tornare di nuovo movimento. Si comprende, allora, che la domanda cruciale diventa come gestire i processi di rinnovamento in quelle comunità-movimenti carismatici che seppure in difficoltà hanno ancora desiderio e potenzialità di futuro – e, grazie a Dio, ce ne sono ancora molte. La prima pre-condizione generale sta nel cercare di non accentuare la malattia mentre si cerca di curarla. Quando una realtà carismatica inizia ad avvertire un declino, i suoi responsabili cominciano naturalmente a pensare che la cura sia cambiare le strutture e lavorare sull’organizzazione stessa. Così, per ridurre il peso di una organizzazione che nel tempo è cresciuta troppo (a causa delle patologie auto-immuni che abbiamo discusso nelle domeniche precedenti), si continua a lavorare e a concentrare energie sugli aspetti organizzativi. Ma se guardiamo la storia e il presente dei movimenti e delle comunità carismatiche, ci accorgiamo che le crisi dipendono da un problema di "domanda" (non avere più persone attratte dal carisma) che è stato generato anni addietro da errori di "offerta" (troppa struttura, poca creatività). Quando il movimento si sviluppa, le esigenze di rafforzamento delle strutture dell’organizzazione allontanano le persone più creative dalle periferie, e così perdono contatto con la gente e con le vere dinamiche del proprio tempo, perché sempre più concentrati verso l’interno dell’organizzazione. Così, di fronte alla richiesta di cambiamento, il governo e le strutture rispondono continuando a guardarsi dentro, creando nuove commissioni, nuovi uffici, cioè continuando a guardare alle strutture. Si lavora intensamente per snellire le strutture e così liberare energie per ridare fiato e tempo alle persone, senza avere la coscienza che queste stesse persone non sono più, nella grande maggioranza, nelle condizioni di tornare veramente ad annunciare il messaggio e ad attrarre nuove vocazioni, perché è il messaggio carismatico a essere in crisi e quindi il senso di annunciarlo e proporlo in un mondo che sembra non averne più bisogno. Un processo decisivo che va fatto coinvolgendo e attivando i luoghi vivi della creatività, raggiungendoli ai confini dell’impero. Tutto ciò è certamente e prima di tutto dono (charis), ma è anche saggezza organizzativa, intelligenza spirituale profonda, profetica e trasformatrice. È come se – per usare una metafora, imperfetta ma forse non inutile – un’impresa produttrice di automobili in crisi di vendite, per ripartire si concentrasse solo sul lato dell’offerta: licenziando, snellendo l’organizzazione, accorpando, chiudendo filiali. Se il problema è però principalmente sul lato della domanda – i modelli di auto che offre oggi, che l’avevano fatta crescere ieri, non incontrano più i gusti dei consumatori – la vera sfida sta nell’investire risorse per pensare nuovi modelli, che inculturino nel "mercato" presente la mission e la tradizione di quella impresa. Se, invece, si liberano persone dagli uffici amministrativi per spostarli nel commerciale senza rinnovare i "modelli", i primi a sperimentare frustrazione e insuccesso sono proprio gli addetti alle vendite, che si ritrovano a offrire auto nelle quali non credono più. Un tipico errore che si commette durante queste fasi di passaggio è, infatti, pensare che la poca attrattività del messaggio riguardi solo l’esterno della comunità, e non sia già diffusa e profonda anche all’interno di essa. Non si comprende che senza raccontarsi nuove e antiche storie che riaccendano innanzitutto i propri membri e le proprie vocazioni, non si sarà mai più capaci di attrarre nuove persone.  Molte nuove "evangelizzazioni" accadono quando nel raccontare agli altri la buona novella, riusciamo nuovamente e diversamente a risentirla viva anche in noi. È così che rinasce una nuova-antica storia d’amore, un nuovo eros, nuovi desideri, nuova generatività, nuovi bambini. Se invece si pensa che la "malattia" sia curabile agendo in un primo tempo sull’ipertrofia strutturale e poi, in un secondo tempo, sui "nuovi modelli", i primi a scoraggiarsi sono i "concessionari". Durante le crisi le energie morali sono scarse, ed è cruciale scegliere su quali priorità investirle: sbagliare l’ordine temporale e gerarchico degli interventi è fatale. Perché se si cambiano le strutture prima di ripensare la mission del carisma, il rischio concreto è di sbagliare la direzione del cambiamento. I movimenti e le comunità carismatiche non vendono automobili, ma anch’esse vivono e fanno vivere bene se e fino a quando sono capaci di attualizzare il loro messaggio-carisma, calandolo nei linguaggi e nei desideri del presente, e così attrarre le persone migliori di oggi. Anche qui i "nuovi modelli" nascono dallo studio, dal talento dei designer e dei creativi, ma prima di tutto nascono dalla frequentazione delle nuove periferie dove si trovano nuovi bisogni, dall’ascolto dei desideri delle famiglie e dei giovani, dall’incontro corpo-a-corpo con le persone in carne ed ossa. Ma il nuovo senso del proprio carisma e della propria vocazione non lo si trova guardando, narcisisticamente, dentro di sé, creando magari una nuova struttura dedicata a questo. In queste crisi non mancano, in genere, tecnologia, know-how o buoni ingegneri, manca soprattutto il contatto col mondo che negli anni si è troppo allontanato. Il carisma allora può rifiorire solo tornando a incontrare le persone lungo le strade, dimenticando le proprie organizzazioni per occuparsi delle ferite e dei dolori degli uomini e delle donne di oggi, soprattutto dei più poveri – la distanza dai poveri è sempre il primo segno di crisi delle realtà carismatiche. I "modelli" possono e devono essere rinnovati, perché il carisma non è l’automobile, ma è la casa automobilistica, che per vivere e crescere deve essere capace di rinnovarsi, di cambiare, di interpretare creativamente la propria missione nel tempo presente. Dopo il grande diluvio, il libro della Genesi (cap. 11) ci narra la storia di Babele. L’umanità salvata da Noè, invece di ascoltare il comando di Dio e disperdersi sulla faccia della terra, si fermò, costruì una fortezza, con una sola lingua, senza diversità. Dopo le grandi crisi arriva puntuale la tentazione di Babele: si ha paura, ci si difende, si tende a custodire la propria identità, si guarda dentro, si perde bio-diversità. La salvezza sta nella dispersione, nelle molte lingue, nel muoversi senza indugio verso nuove terre. Con questa decima puntata termina La grande transizione. L’abbiamo aperta con il destino del capitalismo, la chiudiamo con quello dei carismi. Da domenica prossima riprenderemo con Giobbe le letture della Bibbia, dove continueremo a cercare parole più grandi delle nostre, per provare a scrivere e a raccontarci l’un l’altra storie nuove capaci di vita e di futuro. l.bruni@lumsa.it