Opinioni

L'analisi. E tra Giuda e la Maddalena nacque l'economia europea

Luigino Bruni sabato 12 dicembre 2020

Non è immediato associare la figura di Giuda all’etica economica europea, ma dobbiamo farlo se vogliamo capirla. Giuda Iscariota è il traditore, è il "cassiere" della comunità dei dodici, ma è anche un "pessimo mercante" per la infima somma, trenta denari, che chiese in cambio del suo tradimento. Somma infame e infima se confrontata con altre celebri somme di denaro della Bibbia (per la tomba di Sarah, per il campo di Geremia in Anatot). Nel Medioevo Giuda l’economo, Giuda il traditore e Giuda il pessimo mercante si intrecciarono, dando vita alle popolari leggende di Giuda. Nella "Navigazione di San Brentano" (secolo X) Giuda, novello Edipo, dopo che suo padre sognò che suo figlio lo avrebbe ucciso, viene abbandonato a Gerusalemme dove entra nella corte di Erode: lì diventa ladro, quindi uccide il padre e sposa la madre, per finire nella comunità degli apostoli.
Come ci ha mostrato lo storico Giacomo Todeschini nella sua essenziale opera "Come Giuda" (2011), la figura di Giuda divenne l’icona dell’ebreo medioevale nelle città europee, quando l’ambivalenza semantica Giuda/giudei finì per associare al peccato di Giuda anche gli ebrei in quanto tali (l’antisemitismo europeo è maturato anche nella sfera economica e finanziaria). Nel secondo millennio, per la pietà popolare, per l’arte e molta teologia, Giuda divenne anche il volto di ogni operatore economico che lavorava con un fine di lucro. Non solo l’usuraio, ma ogni persona che agiva per procurarsi un guadagno; quindi i commercianti, gli artigiani, i lavoratori dipendenti, tutti associati all’economo dei dodici perché, come lui, vendevano qualcosa per procurarsi denaro.

Dietro alla svalutazione etica e spirituale del lavoro nel Medioevo ci sono molti fattori, alcuni ereditati dal mondo greco-romano (il lavoro manuale è attività dello schiavo) e dalle culture arcaiche (chi tocca la materia è impuro); ma importante fu anche l’ombra minacciosa di Giuda su ogni lavoro teso al guadagno di denaro: «In questa epoca [’500] dilaga nella penisola la stolta opinione che il lavoro, anche mercantesco, facesse perdere la nobiltà» (Amintore Fanfani, "Storia del lavoro in Italia"). Una diffidenza che coinvolge gli economi di comunità, i cellarii dei monasteri. Giuda divenne così una sorta di "santo protettore" all’incontrario di chi vendeva qualsiasi cosa in cambio di denaro, attività non troppo diversa da quella delle meretrici (da merere: guadagnare). È infatti in questo contesto religioso che nasce l’espressione "lavoro mercenario", usata per ogni lavoro salariato o con compenso monetario.
Questo sospetto etico attraverserà Medioevo e modernità. Nell’influente "Manuale per i confessori" dell’abate Gaume (l’edizione che possiedo è la quarta: Napoli, 1852), leggiamo: «Se viene a confessarsi un mercante, dimandategli se ha ingannato nel peso o nella misura, se ha venduto al di là del prezzo alto... Se è un sarto, chiedetegli se ha mutato il prezzo dei panni... Se è un commerciante, nulla può esigere al di là di quello che ha speso». Interessante è questa ultima raccomandazione, fondata sull’idea che la richiesta di un prezzo maggiore del costo sia peccato, un furto. Come a dire: ogni maggiorazione di prezzo dei beni da parte di chi li commercia è indebita, perché il commercio non crea valore aggiunto e quindi non giustifica nessun profitto. Bizzarra idea, che ha portato per secoli a considerare i commercianti come degli usurpatori della ricchezza dei loro clienti. Un’idea "teologica", e non solo conseguenza di una teoria del valore primitiva (legata alla cosa in sé) né di una struttura economica ancora statica, dove il commercio è visto come "gioco a somma zero" (se chi vende guadagna +1, chi compra perde -1).

Al tempo stesso, sebbene assimilati a Giuda, i commercianti e i lavoratori "mercenari" venivano tollerati e (con la grave eccezione degli ebrei) lasciati vivere e operare, in nome della stessa tolleranza che avevano avuto Gesù e gli undici per Giuda, pur sapendo che fosse "ladro". Questa tolleranza ispirò anche la "Leggenda aurea" di Jacopo da Varazze, dove all’Iscariota, che pure si trova all’Inferno, in occasione di alcune festività (Natale, Ognissanti...) viene condonata e sospesa la pena. L’interpretazione teologica sottostante è l’associazione tra il tradimento di Giuda e il paradossale beneficio operato dal suo peccato: la salvezza della croce. Nel ciclo di Pietro Lorenzetti nella basilica inferiore di san Francesco in Assisi, Gesù è rappresentato nel duplice gesto di scostarsi da Giuda e benedire quanto sta accadendo. Lo stesso beneficio paradossale dei lavoratori mercenari.
Una lettura teologica sostenuta anche dal brano evangelico dell’amministratore disonesto lodato da Gesù – che è anche l’unico luogo dove compare nei Vangeli la parola greca oikonomia (Lc 16,1-9). Gesù non loda Giuda, ma Giuda è l’unico apostolo che Gesù chiama nei Vangeli «amico»: «Amico, per questo sei qui!» (Mt 26,50). Anche in queste parole uniche si nasconde, nella Bibbia, qualcosa d’importante.

La civiltà medioevale generò, dunque, un’idea negativa del lavoro remunerato e del guadagno. I servizi che alcuni uomini facevano ad altri in cambio di denaro erano disprezzati, non visti come espressione di mutua assistenza né di mutuo vantaggio, ma come una forma di servitù, che, però, qui non sminuiva il padrone, ma il servo. Come fu possibile che nella modernità questo disprezzo del lavoro produsse il capitalismo?
Un primo indizio lo troviamo in un’altra, ancora più improbabile, protagonista evangelica dell’etica economica europea: Maria Maddalena. Una figura molto amata nei Vangeli, centralissima in quelli apocrifi gnostici (Vangelo di Maria e Vangelo di Filippo). La Maria Maddalena della pietà popolare e delle tradizioni cristiane medioevali non è però soltanto la Maria di Magdala dei Vangeli. È piuttosto una "costruzione", il risultato di una combinazione di più donne: quella chiamata propriamente Maria Maddalena, dalla quale Gesù «aveva scacciato sette demoni» (Mc 16,9), la Maria di Betania, sorella di Marta e Lazzaro, e la peccatrice, presente nei quattro Vangeli, che entra in una casa di Betania dove si trovava Gesù e gli versa un vaso di profumo sul capo (o sui piedi). A un certo punto della storia della Chiesa, la Maddalena è diventata la fusione di queste tre donne – un ruolo importante l’ha svolto Gregorio Magno, nell’Omelia 33, a Roma nel 593.
Nella versione che dà Giovanni dell’episodio della peccatrice, sulla scena troviamo Giuda. Giovanni riprende il racconto dei Vangeli sinottici (dove la peccatrice della casa di Betania resta anonima: Mc 14,1-9), e trasforma quella donna nella Maria sorella di Lazzaro: «Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù... Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: "Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?"». Giovanni commenta: «Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (Gv 12,3-6). Giuda traditore, ladro, avaro; Maria, la buona donna prodiga, che sperpera per onorare Gesù una somma dieci volte maggiore a quella che chiederà Giuda.
Col passare dei secoli il contrasto polare tra Giuda e Maria, nel frattempo diventata Maria Maddalena, sarà decisivo. Giuda diventerà l’immagine di chi vende per guadagnare, icona di ogni turpe commercio e dei lavori mercenari; la Maddalena simbolo del buon uso della ricchezza, del pio sperpero, della spesa per il culto, quindi per la chiesa e per il Bene comune. Il denaro guadagnato lavorando è quello di Giuda; il denaro investito per essere speso nel culto è invece pio e santo. Maddalena diventa l’anti-Giuda, anche per il rapporto con il denaro. Come ci mostra ancora Todeschini, col passare dei secoli la Maddalena sarà sempre più rappresentata nella pietà popolare e nella grande arte come una donna ricca, lussuosa, nobile, una peccatrice santa perché aveva deciso di usare la sua ricchezza passata per un fine santo. Il denaro dell’antica meretrice diventa santo, il denaro del lavoratore diventa una forma di meretricio.

Eccoci allora al centro di questa storia. La ricchezza da cattiva diventa buona se usata per il culto, per le opere ecclesiastiche e pubbliche: nasce l’economia della magnificenza. Il denaro guadagnato per vivere e far vivere la propria famiglia è come quello di Giuda, quello speso per il culto pubblico invece è come quello della Maddalena. Non importa neanche se questo denaro provenga dal debito: «Tutte le felicità unitamente concorrono a felicitare un huomo, che non avendo del proprio, sa vivere con l’altrui» ("Il Debitor felice", Nuzio Petroni da Trevi, fine Cinquecento). Similmente Francesco Berni: «Fate, parente mio, pur de gli stocchi [prestiti], pigliate spesso a credenza, a ’nteresse, e lasciate ch’agli altri il pensier tocchi: perché la tela ordisce un, l’altro la tesse» ("In lode del debito", 1548). Ci sono anche queste storie teologiche dietro le presenti tensioni sul debito tra i Paesi del Nord e quelli del Sud dell’Europa.
La ricchezza privata e il profitto possono trasformarsi in ricchezza buona e civile se si lascia l’economia di Giuda e si sceglie l’economia della Maddalena. Una visione che ritroviamo anche nella fondazione dei Monti di Pietà. Diceva Bernardino da Feltre: «Tu pensavi che il Monte fosse utile soltanto ai poveri. Io invece che è necessario ai poveri per i loro bisogni materiali com’è necessario ai ricchi per la loro anima» (Sermoni II).

Un ultimo passaggio. Il grande mercante, il banchiere, e quindi i grandi attori dell’economia e della finanza, non incorrono nella condanna di Giuda, perché guadagnano abbastanza ricchezza da donarne una parte al culto, alla chiesa, al Bene comune, in vita o almeno in morte. Giuda diventa allora sempre più l’immagine del piccolo commerciante, dell’artigiano, del piccolo imprenditore. La pessima reputazione con cui il concetto di "profitto" è giunto fino a noi non fu guadagnata dai grandi operatori economici, perché il turpe lucro divenne quello piccolo dei nostri concittadini. Sono passati molti secoli, è arrivato il capitalismo e la sua nuova etica protestante del lavoro-vocazione. Ma siamo sicuri che quell’antico stigma sul guadagno "normale" sia stato cancellato?
Forse non a caso quando Adam Smith volle dare un volto a coloro che non agivano negli affari per "benevolenza" lo trovò in quelli «del macellaio, del birraio e del fornaio» (1776), non in quelli degli amministratori della Compagnia delle Indie né dei grandi banchieri inglesi e olandesi. In questa economia "piccolo è brutto". Ieri e oggi, quando il nemico del Bene comune non è la grande multinazionale ma il commerciante sotto casa, e la "salvezza" viene affidata a una "lotteria di scontrini" che trasformi, a loro dispetto, i vizi privati in pubbliche virtù. Il volto di Giuda non divenne quello del grande capitalista, ma quello del lavoratore-imprenditore della porta accanto. Fino a quando?

l.bruni@lumsa.it

(6-continua)