Opinioni

L'anima e la cetra /31. E il respiro divenne alleluja

Luigino Bruni sabato 31 ottobre 2020

Amore, che mi formasti a immagine dell’Iddio che non ha volto, Amore che teneramente mi ricomponesti dopo la rovina, Amore, ecco, mi arrendo: sarò io il tuo splendore eterno
David Maria Turoldo, I salmi

«Alleluja. Lodate Dio nel suo santuario, lodatelo nel suo maestoso firmamento. Lodatelo per le sue imprese, lodatelo per la sua immensa grandezza. Lodatelo con il suono del corno, lodatelo con l’arpa e la cetra. Lodatelo con tamburelli e danze, lodatelo sulle corde e con i flauti. Lodatelo con cimbali sonori, lodatelo con cimbali squillanti. Ogni essere che respira lodi il Signore. Alleluja» (Salmo 150).

Alleluja è l’ultima parola del Salterio. Si era aperto con "beato l’uomo" (1,1), e ora si chiude con Alleluja (150,6). Inizia con una lode di Dio all’uomo, si chiude con la lode dell’uomo a Dio (alleleu-Yah: lodiamo YHWH). A dirci che tutta la nostra vita è custodita tra un "beato" e un "alleluja". Il Libro dei Salmi è infatti anche metafora dell’esistenza umana, che si snoda tra benedizioni, gioie, dolori, urla, maledizioni, lodi, per approdare infine all’alleluja, che qualche volta è anche l’ultima parola della vita; quella che segue l’amen, perché se è già molto bello lasciare questa terra con un mite "così sia", è ancora più bello lasciarla con un alleluja, con un ultimo, infinito, grazie.

Gli ebrei chiamano il Salterio il "Libro delle lodi", il libro delle lodi a Dio e delle lodi all’uomo, che attraversano, entrambe, i salmi. Perché se è vero che l’homo sapiens è un animale bisognoso di lodare, la Bibbia ci dice che anche Dio ha lo stesso nostro bisogno, che soddisfa nel Libro e poi con l’incarnazione – "Ti lodo, o Padre, perché …". "Lodatelo" è ripetuto dieci volte in questo salmo. Come i dieci "E disse" della Genesi (cap. 1), come le dieci parole donate a Mosè sul Sinai. La lode è un’altra Legge, che non ci salva per le opere né per i nostri meriti, ma solo perché riusciamo a dire un ultimo alleluja, e ricevere lo stesso salario dei giusti.

La lode è anche una nuova creazione. Se Dio creò il mondo dicendolo e continua a crearlo in ogni attimo dicendolo e ridicendolo, noi, fatti a sua immagine, creiamo il nostro mondo con le nostre parole, dicendolo, ridicendolo, benedicendolo o maledicendolo. Lo creiamo e ricreiamo ogni mattina, quando ci alziamo e a casa diciamo (se li diciamo, e come li diciamo) i nomi di chi amiamo; e poi dicendo i nomi dei colleghi, degli amici, fino al nome sconosciuto di chi incontriamo velocemente nel negozio o al bar. La lode è una parola performativa, che ha la capacità di modificare la realtà che loda. Quando lodiamo Dio lo facciamo più bello e splendido (almeno nella nostra anima), e quando lodiamo una persona la facciamo più bella e buona (e non solo nella nostra anima). Se disprezzare un uomo o una donna, maledirla con le parole, è sempre un atto gravissimo, se chi loda Dio disprezza gli esseri umani perverte la lode e la preghiera. Nel lodare il Dio che non vede e non loda la sua immagine che vede rinnega l’immagine.

Chi loda Dio dovrebbe imparare la lode agli uomini, dovrebbe girare per il mondo benedicendo ogni donna e ogni uomo che incontra, perché sa che quel Dio che ha lodato nel tempio lo vede realmente lungo le strade. Questa lode inter-umana è tra gli esercizi antropologici più belli sotto il sole. Dove c’è anche la lode del ruffiano, molto comune, che non è mai vera e non crea nulla di buono, che peggiora chi la fa e chi la riceve. Risponde alla domanda di riconoscimento degli altri inventando una stima inesistente, che mantiene le persone beate e ingannate in trappole perfette di povertà. Ma sulla terra c’è anche la lode sincera, quella che, in alcuni momenti decisivi della vita, individua nell’altro almeno una ragione vera di bontà e di bellezza - perché una ce n’è sempre: è il nostro essere fatti a immagine di Dio, che è più tenace di tutti gli scarabocchi che ci disegniamo sopra nel corso della vita. La sa trovare, non si ferma nello scavo finché non arriva alla perla nascosta, e poi la loda, e usa tutte le parole belle che ha imparato per dirla. Quanta sofferenza si asciugherebbe sulla terra se fossimo capaci di questa lode vera. Questa lode è alto esercizio di agape, perché richiede costanza, pazienza, arte relazionale, rispetto dei tempi e dei modi dell’altro, mitezza. Una sola persona capace di questa lode può salvare una comunità intera, è quel giusto che Abramo cercava a Sodoma e non trovò (Gen 18). Noi, invece, qualche volta lo troviamo, e sappiamo quanto vale. Ecco perché la lode è un bene comune globale del mondo, è patrimonio civile di ogni comunità. Lodare – Dio e gli umani – ci fa migliori, anche quelli che non sanno lodare.

Non è difficile riconosce chi si esercita nella lode. È capace di silenzio, sa ascoltare, sa far festa, piangere, ha un grande capitale emotivo, si commuove per il dolore e anche quando tocca la bellezza, è umile, è sempre grato.
Questo ultimo salmo, insieme agli altri quattro salmi dell’alleluja, è una lode alla musica e al canto. È una rassegna degli strumenti musicali, che così vengono innalzati a grande dignità. Chissà su quale base biblica nel Medioevo si sono svalutati i musicisti, o chissà come venne in mente attorno alla Riforma protestante di proibire la musica sacra? Questi salmi sono una lode anche ai costruttori di strumenti musicali, agli artigiani, ai liutai e a tutta la grande famiglia degli orchestrali e dei lavoratori della musica. Grazie a questi salmi la musica è entrata tra i linguaggi di Dio, è una delle lingue con cui gli angeli comunicano con noi e tra di loro, la musica è diventata parola. E, forse, ogni volta che sulla terra si esegue una musica, in cielo Dio si sveglia, si volta e ascolta interessato.
Non è improbabile che questo salmo sia stato composto, o almeno cantato, durante l’esilio babilonese. Una lode al canto, ai musici e ai cori del tempio quando il tempio non c’era più, perché distrutto. Ma erano rimasti vivi dentro l’anima del popolo, e così quella povertà produsse una stupenda ricchezza, arrivata viva fino a noi perché purificata da ogni forza e potenza. La bellezza di questi salmi di lode sta nella loro sobria essenzialità.

"Ogni essere che respira lodi il Signore". Non si poteva trovare un finale più bello di questo. La lode dagli esseri umani si estende a tutta la creazione, agli animali, alle piante, a tutto ciò che è vivo. Torna, in conclusione, quella fraternità cosmica che ci ha accompagnato in questi mesi. La lode umana per la Bibbia è essenziale ma è troppo poco. È qui si vede l’Adam custode di tutta la terra, che dà voce alla lode della Terra e dell’universo.

Esiste anche una lode della vita, un alleluja del respiro. Noi siamo troppo abituati a una visione volontaristica della fede, più stoica (e pelagiana) che cristiana, che ci porta continuamente a pensare che la vita spirituale sia tutta una faccenda di sforzo, di impegno, di volontà, che sia tutta opera nostra. Poi leggiamo i salmi, arriviamo a questo ultimo verso e scopriamo un’altra dimensione della fede. La prima lode siamo noi, e lo siamo in quanto esseri vivi e creati, che respirano, che hanno ancora quel soffio inoculatogli nel primo giorno della creazione e mai ritirato: «La gloria di Dio è l’uomo vivente» (Sant’Ireneo). Lo siamo come e più delle opere d’arte che sono la prima lode dell’artista.

Allora quel congiuntivo – "dia lode" – può essere declinato all’indicativo: ogni essere che respira lode al Signore. La lode più importante è quella che siamo non quella che diciamo. Possiamo dire la lode perché prima, a un livello più profondo e vero, siamo lode. La nascita di un bambino, la bellezza di una ragazza, la dignità di un vecchio, un atto di lealtà, un amico, sono lode in se stessi. Allora la bella notizia è che la lode sulla terra è molto più grande di quella detta da noi. Che diventa poi immensa se ci aggiungiamo la lode degli uccelli, della cerva, della balena, dell’albero e della foglia, fino a raggiungere le infinite stelle, et clarite et pretiose et belle. È una lode silenziosa, deponente, mite – che c’è di più mite di una betulla o degli occhi di un cane? –, che ricorda a tutti noi la dimensione silenziosa, deponente e mite della nostra lode. Per questa lode cosmica e laica il tempio è un bosco, un ufficio, il cuore di un fringuello, il mare, una galassia. Le realtà più importanti della vita non le creiamo noi con le nostre azioni e neanche con le nostre parole. Sono e basta. Le nostre creazioni sono preziose, a volte sono quasi essenziali. Ma ciò che è davvero essenziale è ciò che è, è ciò che siamo, è quello che la vita è perché è vita. Perché siamo circondati da un amore infinito, e non lo sappiamo. Alleluja!

Terminiamo così il commento del Libro dei Salmi. Siamo partiti durante il primo confinamento, e lo chiudiamo in una fase altrettanto incerta. Scelsi, a marzo, di commentare i Salmi perché credevo che il Salterio, con le sue lodi e le sue preghiere, fosse un buon compagno nel duro viaggio che ci attendeva. Spero che sia stato davvero così, almeno un poco. Certamente lo è stato per me. Anche questa volta, come per gli altri nove libri biblici commentati in questi anni per "Avvenire", esco cambiato dal cammino, segnato nella carne e nel nome. Ogni commento è stato ed è un combattimento con l’angelo, che mi ha lasciato benedetto e ferito. Con chi mi ha seguito abbiamo imparato o reimparato a pregare, abbiamo capito che la lode e la preghiera biblica erano diversi da quello che pensavamo, ed erano stupendi.
Grazie a tutti voi, lettori, per le e-mail che mi avete scritto, una delle gioie più profonde di questo lavoro. Grazie, ancora una volta, e ogni volta di più, a Marco Tarquinio, al quale da anni occupo tutti i sabati pomeriggio per la lettura, titolazione (i titoli sono quasi sempre suoi), correzione del mio articolo, che è sempre più lungo di come dovrebbe essere. Senza questa reciprocità rischiosa e generativa non avrei iniziato questo strano nuovo "mestiere" di economista commentatore della Bibbia, un mestiere che mi ha cambiato la vita.

l.bruni@lumsa.it

Dico grazie io, a nome di tanti, a Luigino Bruni, che sa bene come anno dopo anno i titoli dei suoi testi siano sempre più diventati parte del nostro lavoro comune. Ed è bene che i lettori sappiano che il cammino insieme, naturalmente, continua. (mt)