Opinioni

Aria di «boicottaggio» sugli Europei dopo il caso Timoshenko. Lo sport si ricordi dei diritti umani Ma sempre. Non solo per l’Ucraina

Fulvio Scaglione martedì 1 maggio 2012
Non è un boicottaggio, ma comincia a somigliargli. Cresce infatti nell’Europa politica la tentazione di disertare i campionati, europei di calcio che l’Ucraina ospiterà tra poco più di un mese in condominio con la Polonia. La pietra dello scandalo è il "caso Timoshenko": l’ex premier l’anno scorso è stata condannata a 7 anni di carcere per un presunto "abuso d’ufficio" (avrebbe acquistato, quand’era primo ministro, gas russo a prezzi gonfiati), dopo quello che a quasi tutti è parso più un regolamento di conti che un processo. In carcere, a detta dei suoi sostenitori, le sue condizioni di salute si sono gravemente deteriorate e nei giorni scorsi sarebbe stata addirittura pestata dalle guardie (le foto dei lividi hanno fatto il giro del mondo destando grande scalpore).In Ucraina le proteste contro la condanna e contro il regime del presidente Janukovic non si sono mai placate. In Europa ha cominciato la mobilitazione Viviane Reding, commissario Ue alla Giustizia, dicendo che non avrebbe presenziato alla partita inaugurale dei campionati e chiedendo ai colleghi di «riflettere sull’opportunità di andare in Ucraina». Nelle ultime ore l’accelerazione. La cancelliera tedesca Angela Merkel non si farà vedere se la Timoshenko non sarà liberata. Altrettanto ha deciso il presidente della Commissione europea Barroso. E il nostro ministro dello Sport, Piero Gnudi, ha dichiarato che «quando vengono violati i diritti soggettivi e i principi democratici, lo sport non può voltarsi dall’altra parte». L’intervento a gamba tesa, però, l’Ucraina l’ha subito dall’Uefa, ovvero l’ente promotore dei campionati che Ucraina e Polonia dovrebbero ospitare. Il suo direttore operativo, Martin Kallen, ha parlato di situazione «potenzialmente pericolosa» in Ucraina e ha accennato all’ipotesi di rinviare il torneo di un anno. I vertici Uefa prima hanno smentito, poi si sono esercitati anch’essi sul "caso Tymoshenko", complicando ancor più la faccenda. A questo punto sarà bene mettere un po’ d’ordine, perché poche cose sono più dannose delle buone intenzioni esercitate male. Il pasticcio sembra l’abbiano combinato Kallen e la Uefa. In Ucraina, a Dnepropetrovsk, sono appena esplose quattro bombe che solo per miracolo non hanno fatto decine di morti. Dire che il pericolo può far rinviare i campionati significa penalizzare gli ucraini e, soprattutto, dare un ottimo incentivo ai criminali, che ora sanno che cosa devono fare per ottenere il loro scopo. Per il resto, è giusto che la politica prenda posizione e che lo sport, come dice il ministro Gnudi, non si volti dall’altra parte. La vicenda della Timoshenko è vergognosa e va stigmatizzata. Vien da chiedersi, però, dov’erano tutti quando, solo due settimane fa, il circo della Formula Uno si è esibito in Bahrein, dove nell’ultimo anno, con la complicità dell’esercito dell’Arabia Saudita, sono state uccise decine di persone (e molte altre incarcerate e torturate) solo perché chiedevano un po’ di democrazia (anche se i team di F1 sono privati e non "nazionali"). Forse l’Ucraina merita di essere messa alla gogna, ma non da sola e non per prima. Non ricordiamo, per fare altri piccoli esempi, particolare sdegno per gli eventi sportivi con la Tunisia quando il Paese era dominato dal clan di Ben Ali (che i soprusi "alla Timoshenko" li produceva a migliaia), né ostilità verso il figlio del tiranno Gheddafi che tentava la strada del campionato di calcio italiano. Perché in effetti è bello quando lo sport apre gli occhi sulla realtà. Ma è bruttissimo quando dà l’impressione di aprirli e chiuderli a comando.