Opinioni

I moti del rione di Napoli e i nodi del Sud. Lo Stato (l'educazione) che serve come il pane

Giuseppe Savagnone martedì 9 settembre 2014
Al di là dello strazio della famiglia di Davide Bifolco, il ragazzo di 17 anni ucciso, a Napoli, da un carabiniere che aveva cercato invano di fermarlo, al di là del problema della violenza, che rischia di essere contagiosa e di coinvolgere anche le forze dell’ordine, rendendo difficile il confine tra il dovere di far rispettare la legge e la prevaricazione da parte di chi comunque può far uso di una pistola, al di là delle circostanze contingenti, quello che colpisce, nel tragico episodio del Rione Traiano, è la rabbia della gente nei confronti dello Stato. Una rabbia che è esplosa come se covasse da sempre e attendesse solo di potersi manifestare, alla prima occasione. Una rabbia che non nasce solo dalla solidarietà nei confronti della vittima, o dalla protesta contro chi ha usato un mezzo sproporzionato di repressione, uccidendo un minorenne disarmato, ma sembra avere radici ben più profonde, a cui forse preferiremmo non guardare, per salvare l’immagine "politicamente corretta" di un Paese diviso tra legalità e illegalità, tra "buoni" e "cattivi", e in cui magari può accadere che un incidente di percorso turbi le acque momentaneamente. Non è così. Ed è più onesto, anche se più scomodo, riconoscere che l’attenzione polarizzata in questi ultimi vent’anni sul "vento del Nord" ha forse fatto perdere di vista a molti la segreta violenza di un "vento del Sud", non meno carico di impurità e di equivoci, altrettanto pericoloso per l’unità – almeno per quella morale e civile – della nostra nazione. Perché ciò che nella reazione popolare della gente di Napoli viene alla luce è un sentimento profondo, condiviso più o meno consciamente da tanti uomini e donne meridionali, in cui un irrazionale vittimismo e un sordo risentimento si mescolano  a memorie e a ragioni sicuramente dotate di un qualche fondamento, anche se esasperate e distorte. Secondo questo sentimento, il Sud non ha cessato di essere terra di conquista e lo Stato non ha cessato di essere, dopo più di centocinquant’anni dall’unità d’Italia, un ente estraneo e ostile, da cui difendersi, a cui spremere sussidi, quando e come possibile, e contro cui rivoltarsi con lo stesso astio con cui ci si è ribellati, per secoli, contro altri, precedenti dominatori.Questo è clima in cui è possibile il perdurare in Campania, in Calabria, in Sicilia – malgrado i tanti colpi assestati dalle forze dell’ordine alla criminalità organizzata – di una cultura che favorisce il continuo risorgere delle mafie. La protesta del Rione Traiano non è innanzi tutto contro la morte di un innocente. Tanti innocenti sono caduti, in questi anni, uccisi dalla malavita, e la gente non ha protestato. La protesta è contro l’istituzione, di cui si crede di veder dimostrata, in questa occasione, la doppiezza e l’inaffidabilità. Non è facile rimediare a tanti errori del passato che hanno favorito questa visione distorta e fatto apparire il Meridione vittima dei soprusi dei "piemontesi". Perché errori ci sono stati davvero e la storia non può che registrarli. Ma ora il problema è di recuperare, abbattendo le invisibili barriere che ci dividono, un senso condiviso di cittadinanza e una effettiva partecipazione di tutti alla vita dello Stato italiano, l’unico in cui, al di là di tutto, possiamo riconoscerci.La via maestra è l’educazione capillare, sistematica, popolare, al senso del bene comune, il fine che ci unisce in un destino solidale, lo vogliamo o no. Solo la riscoperta del bene comune, a cui lo Stato è finalizzato, può aiutare a superare la visione diffusa (per la verità non solo al Sud) che vede in esso un soffocante apparato burocratico più che lo strumento per camminare e crescere insieme. Nelle nostre famiglie, nelle nostre scuole, nelle stesse nostre parrocchie, di questa educazione non c’è quasi traccia. E i frutti avvelenati di tale assenza si percepiscono in tutto il Paese. Al Sud sono questi di cui abbiamo detto.Ma all’impegno educativo deve corrispondere anche uno sforzo reale della politica per snellire questo pesante apparato – che c’è veramente – e per smantellare la logica statalista a cui ancora in larga misura ci si ispira. Non in nome di un liberalismo individualistico, altrettanto estraneo alla cultura italiana e meridionale dello statalismo, ma in nome delle esigenze della gente, dell’attenzione alla vita reale, superando il dualismo tra le strutture e questa vita che chiede di essere compresa. Su tale strada non facile bisogna procedere, se vogliamo che la gente del Rione Traiano, o di qualunque altro quartiere "difficile" del nostro Sud, non scenda più in piazza a maledire le istituzioni.