Opinioni

Grande furto. Denaro in fuga illecita dall’Africa. L’Onu può agire ma la Ue si oppone

Giulio Albanese martedì 19 dicembre 2023

Dobbiamo riconoscere che alcune notizie passano in sordina. A volte volutamente, altre per disattenzione. Eccone un classico esempio. Il mese scorso e precisamente il 22 novembre, i Paesi africani, guidati dalla Nigeria, hanno conseguito una vittoria storica nei confronti di quelli del Primo mondo nell’ambito del dibattito sull’evasione fiscale delle imprese e dei flussi finanziari illeciti (Iff).

Infatti, sono riusciti a far passare al Palazzo di Vetro una risoluzione (A/C.2/78/L.18/Rev.1) che chiede di avviare un processo in due fasi per negoziare una convenzione quadro nell’ambito dell’Onu sulla cooperazione fiscale internazionale.

I voti a favore sono stati 125, tra cui quelli della Cina e della Russia, insieme a 51 delle 54 delegazioni africane; 48 quelli contrari e 9 le astensioni. Si tratta di un traguardo importante verso la tanto agognata riforma del sistema fiscale internazionale, aprendo la strada a un trattato internazionale. Stati Uniti, Giappone e Unione europea (Ue) non hanno gradito questa iniziativa, mentre la società civile e il mondo missionario hanno espresso il proprio plauso per l’esito del voto, ribadendo che i diritti umani devono essere posti al centro di ogni processo internazionale di riforma fiscale.

D’altronde, ogni anno si perdono centinaia di miliardi di dollari, somme che potrebbero essere impiegate per la realizzazione di reti stradali, ospedali e quant’altro. Lo scorso ottobre i ministri delle Finanze dell’Ue avevano apertamente manifestato la loro contrarietà al voto per una convenzione fiscale dell’Onu finalizzata alla definizione delle regole di contrasto dell’evasione fiscale. Dal loro punto di vista, si verrebbe a determinare un inutile doppione rispetto a quella che è oggi l’attuale operatività dell’Ocse sulla trasparenza fiscale.

I ministri delle Finanze dell’Ue preferirebbero «un’agenda multilaterale non vincolante». Di parere diverso è Tijjani Muhammad-Bande, ambasciatore nigeriano al Palazzo di Vetro, il quale ha sottolineato che: «adottare una convenzione quadro unificata, guidata dalle Nazioni Unite, per la cooperazione fiscale internazionale, apre le porte a notevoli vantaggi economici per tutti. Per le economie emergenti, ciò significa una maggiore capacità di mobilitare risorse nazionali, alimentando direttamente progetti di sviluppo e programmi di welfare sociale. Per le nazioni più sviluppate, promette condizioni di parità, riducendo i casi di evasione ed elusione fiscale che attualmente minano l’equità economica».

Il pensiero dei governi europei è paradossalmente in contrasto con una recente risoluzione del Parlamento europeo che sosteneva l’avvio di una convenzione fiscale delle Nazioni Unite per affrontare l’evasione fiscale e i flussi finanziari illeciti in seguito alle rivelazioni dei «Pandora Papers».

Ogni anno, stando ai dati dell’Unctad, l’autorevole Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo sviluppo, quasi 90 miliardi di dollari, equivalenti a poco meno del 4 per cento del Pil africano, viene trafugato dal continente sotto forma di Iff, vale a dire movimenti illegali di denaro e beni attraverso le frontiere che risultano, alla prova dei fatti, illegali nella fonte, nel trasferimento o nell’uso.

Secondo uno studio del progetto Africa Growth Initiative presso la Brookings Institution, tra i primi 10 Paesi che registrano il maggior volume di flussi finanziari illeciti, ben 9 concentrano una parte significativa delle loro esportazioni totali sulle risorse naturali. Vale a dire: Sud Africa, Repubblica Democratica del Congo, Botswana e Zambia nell’industria mineraria; mentre Nigeria, Repubblica del Congo, Angola, Sudan e Camerun nella produzione di gas e petrolio.

Di fronte a questo scenario, i Paesi africani, che sostengono di essere nel novero di coloro che vengono maggiormente danneggiati dall’emorragia di denaro, stanno cercando, con la forza della persuasione, di spingere la riforma della politica fiscale globale nell’ambito della più ampia agenda di riforma del quadro finanziario multilaterale. Un piano Marshall o Mattei che dir si voglia per l’Africa non dovrebbe prescindere da queste considerazioni. Altrimenti come possiamo pretendere di aiutarli a casa loro?