Opinioni

Omofobia? No, pensiero unico. L’intollerante banalità libertaria

Francesco D'Agostino sabato 28 settembre 2013
Ho sempre nutrito qualche dubbio sul fatto che l’Italia fosse un Paese «omofobo» (e avesse di conseguenza bisogno di un’apposita legge per sanzionare le violenze e le discriminazioni compiute a carico degli omosessuali), ma ormai non ho alcun dubbio sul fatto che stia diventando un Paese «omofilo». Il punto è che mentre l’«omofobia», quella vera, violenta e discriminatoria, è odiosa, l’ «omofilia», politicamente corretta, è vistosamente ideologica, assumendo a suo fondamento un’antropologia (quella dell’indifferenza alla differenza sessuale, per usare una formula forse troppo sintetica, ma efficace) carente di un adeguato fondamento filosofico, scientifico e sociale. Sta di fatto, comunque, che sono ormai così tante le manifestazioni in cui i portavoce di movimenti gay intervengono per cercare di soffocare o di troncare ogni dibattito che risulti loro sgradito, che è impossibile negare che ci si trovi davanti a una vera e propria emergenza culturale, che deve inquietarci tutti: con la difesa del supremo principio costituzionale della libertà di pensiero e di espressione non si può più transigere.
Ultimo caso, in una lista che ormai si sta allungando vistosamente, di umiliazione della libertà di manifestazione del pensiero quello di Casale Monferrato, quando, in occasione di un convegno patrocinato anche dal Comune, si è fatto di tutto, attivando una vera e propria gazzarra, per togliere la parola a Mauro Ronco, grande penalista, sottile intellettuale, ma soprattutto uomo caratterizzato da sobrietà lessicale e mitezza argomentativa. La recentissima bufera mediatica che ha coinvolto in una trasmissione radiofonica Guido Barilla, accusato di “omofobia alimentare” solo per aver dichiarato che la sua azienda ha come punto di riferimento principale la famiglia fatta da un padre e una madre, è davvero esemplare, anche per l’evidente mancanza di senso del ridicolo da tutte le parti: da parte di coloro che hanno immediatamente stigmatizzato le dichiarazioni del noto industriale, invitando i consumatori a boicottare i suoi prodotti, da parte dei suoi concorrenti, che si sono inseriti nella vicenda diffondendo comunicazioni ufficiali “gay friendly” nei loro siti (dando così un’ulteriore prova di quanto non pochi produttori siano interessati più che a difendere i “nuovi diritti” degli omosessuali a coltivare una nuova e molto rilevante fetta di mercato) e anche un po’ da parte di Barilla che ha ritenuto di dover chiedere scusa (ma di che cosa?).
Creano problema, nelle società odierne, l’omosessualità e l’«omofobia»? Certamente esse creano problema e non scandalizza affatto che se ne parli, anche nella Chiesa, con una franchezza inimmaginabile solo pochi decenni fa. Né scandalizza che molti (e non solo i rappresentanti dei tanti movimenti gay) lottino per varare una legge contro l’«omofobia» (anche se personalmente ritengo che la legislazione vigente in Italia sia già adeguata a punire in modo esemplare violenze e discriminazioni omofobe). Il problema è che l’impegno per una nuova ridefinizione sociale della sessualità in generale e dell’omosessualità in particolare non può essere affidato, e meno che mai abbandonato, a “movimenti”, associazioni e gruppi spesso culturalmente confusi e che sono portatori di istanze rilevanti sì, ma prive di adeguato fondamento critico e ancor più progettuale.
È giunto il momento che l’intera società civile trovi la forza di appropriarsi di un tema così scottante, che a nessuno è lecito rimuovere, ma che a nessuno a maggior ragione è lecito trattare con superficialità ideologica e mediatica. L’uomo è un essere sessuato e la sua sessualità, oltre che un immenso rilievo esistenziale, spirituale e religioso che è impossibile ignorare, ha incalcolabili ricadute sociali, a partire dalla definizione legale dell’identità personale fino alla costruzione sociale dell’ordine intergenerazionale. La banalizzazione libertaria della sessualità è un errore altrettanto grave e del tutto simmetrico a quella sua banalizzazione repressiva che ha infelicemente caratterizzato molte delle generazioni che ci hanno preceduto.