Opinioni

La visita. L’iniziativa cinese c’è ed è seria. Italia e Ue non stiano a guardare

Agostino Giovagnoli domenica 19 marzo 2023

Xi Jinping arriva domani, 20 marzo, a Mosca. La visita segue il piano cinese in dodici punti per la pace in Ucraina sostanzialmente cestinato dalla diplomazia occidentale che lo ha passato sotto silenzio, giudicato «deludente», ribattezzato un «non piano di pace», mentre la reazione dell’Ucraina è stata possibilista. a è probabile che riprenderlo sia tra gli scopi della visita di Xi in Russia, tanto più che il ministro degli Esteri Qin Gang ha parlato con il suo omologo ucraino Kuleba, assicurando che Pechino «continuerà a svolgere un ruolo costruttivo per il cessate il fuoco, alleviare la crisi e ripristinare la pace».

Ora però è sopravvenuta una novità - il mandato di arresto per Putin spiccato dalla Corte penale internazionale dell’Aja – che potrebbe rendere più difficile qualunque dialogo di pace con il presidente russo o, al contrario, rafforzare le pressioni cinesi su un Putin indebolito. In ogni caso, anche se gli esiti dell’iniziativa di Pechino sono ovviamente incerti, sembra sempre più chiaro che la Cina intende proseguire su questa strada. Il sussiego occidentale verso il piano cinese lascia perplessi: criticabile quanto si vuole, è difficile pensare che sia stato un mero pour parler.

La politica estera cinese si sta rivelando sempre più consistente. L’intesa tra Arabia Saudita e Iran, propiziata nei giorni scorsi da Pechino, ha rappresentato ad esempio un duro colpo per gli occidentali e in particolare per gli Stati Uniti, che vedono prendere corpo un’alternativa concreta e insidiosa alle prospettive aperte dagli “accordi di Abramo” tra Israele e Stati arabi. È vero che tradizionalmente la Cina – imperiale, repubblicana e comunista – non ha mai avuto una politica estera vera e propria. Ma proprio per questo meritano molta attenzione i segnali che indicano un cambio di rotta, intensificati dopo la terza conferma di Xi Jinping a segretario generale del Partito e, ora, anche alla Presidenza della Repubblica. L’atteggiamento dell’Occidente è tanto più singolare perché l’iniziativa cinese si inserisce in spazi lasciati vuoti dagli occidentali (o si spiega proprio per questo?). C’è oggi una evidente debolezza in Medio Oriente (cui contribuisce anche la spericolata politica di Netanyahu). Non è la prima volta che accade, non (solo) per gli errori di qualcuno ma (soprattutto) perché né l’Occidente nel suo complesso né tantomeno gli Usa da soli possono più ambire a una leadership globale. Hanno un ruolo ancora molto importante, ma farebbero del male a sé stessi rifiutando spazi di iniziativa comune o avventurandosi in una nuova guerra fredda.

Ogni giorno diventa più probabile che la pace in Ucraina si possa raggiungere solo collaborando con la Cina, e questo a molti non piace. Contro tale collaborazione gioca anche una logica – seppure non dichiarata – da “scontro di civiltà”. Le iniziative diplomatiche cinesi sono infatti inserite in grandi progetti di nuovo ordine mondiale, da ultimo la Global Civilization Initiative lanciata da Xi Jinping pochi giorni fa, che gli occidentali leggono come espressione di una volontà “revisionistica” nei confronti dell’ordine internazionale liberale. Ma il pericolo più grande non viene da una revisione degli equilibri mondiali, che è già nei fatti, bensì dal nazionalismo e dal sinocentrismo: sfidare la Cina a costruire insieme un nuovo ordine mondiale è l’unico modo per far abbandonare a Pechino queste pericolose tendenze. Fa ben sperare, in questo senso, che Joe Biden abbia detto di voler presto telefonare a Xi. In tutto questo è cruciale il ruolo europeo.

È tempo che anche il governo italiano si svegli dal torpore post-elettorale: il mondo è troppo complicato per scelte semplicistiche come quella di seguire pedissequamente la politica americana. (Così come l’opposizione non deve adagiarsi in una comoda irresponsabilità non-governativa). Anzitutto, perché la politica americana cambia, a volte anche rapidamente, spiazzando non solo gli avversari, ma anche gli alleati: l’Afghanistan docet. Non è neanche possibile escludere che, in prossimità delle elezioni presidenziali americane del 2024 o dopo una possibile vittoria repubblicana in tali elezioni, gli Usa “scoprano” che la guerra in Ucraina è un fastidioso problema da lasciare agli europei. In secondo luogo, perché è dovere di chi è davvero fedele a un’alleanza aiutare gli alleati, anche quelli più forti, a fare scelte cruciali.

Al governo c’è chi ama citare Enrico Mattei, e la politica di Mattei in Medio Oriente e in Cina aiutava gli interessi italiani e occidentali distaccandosi da alcune scelte americane. Va inserito in questo quadro anche il problema del Memorandum sulla via della Seta del 2019: si può discutere se allora sia stato giusto o meno firmarlo, ma la situazione è radicalmente cambiata e disdirlo suonerebbe oggi come un pesante sgarbo. In ogni caso – ed è la cosa più importante – anche se non si amano i cinesi e le loro iniziative, non c’è alcun buon motivo per continuare a oltranza una guerra che per cui ogni giorno tanti ucraini soffrono e muoiono.