Opinioni

Gli slogan contro Caselli, come 40 anni fa. L'ideologia violenta riaccende il motore

Antonio Maria Mira giovedì 12 marzo 2015
Fredda mancanza di memoria e memoria rovente. Un combinato disposto pericolosissimo. Soprattutto quando a non avere memoria sono i giovani. E ad averne anche troppa sono 'vecchi', magari anche famosi, di una stagione di violenza ideologica che vorremmo finita per sempre, ma che ogni tanto ricompare come un fiume carsico. O come la letale auto «lasciata parcheggiata con gli sportelli aperti e la chiave nel cruscotto», di cui ci parlava anni fa un ex militante di Prima linea. Un’auto pronta a partire per fare nuovi danni. In questi giorni l’auto si è rimessa in moto per rombare attorno a Giancarlo Caselli, ex procuratore di Palermo e di Torino. Un attacco personale, politicamente vecchio, ma violentemente attualissimo. Per impedirgli di partecipare a un incontro all’Università di Firenze, organizzato da Libera e da Sinistra universitaria, in preparazione della Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime di mafia, che si terrà a Bologna il prossimo 21 marzo. Giorno per un’altra e alta memoria, di chi ha sacrificato la vita per la legalità, la trasparenza, la buona politica, la corretta economia, l’amore per la propria terra. Caselli se n’è occupato per decenni, ed è proprio questo che non piace a giovani e meno giovani, di scarsa o vivissima memoria. Così nei giorni scorsi a Firenze sono comparsi striscioni e scritte molto violente. «Caselli boia dei movimenti sociali e nemico dei lavoratori», «Boia torturatore». Accuse non nuove, visto che il magistrato e i suoi colleghi torinesi sono da tempo nel mirino dei gruppi antagonisti per aver 'osato' mettere sotto inchiesta i manifestanti No-Tav violenti perché, come spiega da sempre Caselli, «la legge è uguale per tutti» e loro sono «responsabili di azioni illegali». Oggi come negli 'anni di piombo'. Anni che qualcuno ricorda bene e continua a rivendicare con nostalgia, indicando oggi come allora il 'nemico' da colpire. Così dopo gli striscioni e le scritte sui muri, è comparso sul web un lungo comunicato, firmato da un fantomatico 'Collettivo politico Scienze politiche' intitolato: «Chi è Giancarlo Caselli e perché non lo vogliamo a Novoli!». Parole inquietanti, quasi una 'schedatura', che ricordano proprio quegli anni lontani. Il magistrato è definito «un inquisitore... in prima linea nella repressione dei movimenti sociali di operai, studenti e cittadini che, nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta, rivendicavano un cambiamento rivoluzionario verso una società più giusta». Insomma, «un tassello importante della macchina repressiva dello Stato», mischiando «violenza poliziesca», «carcere duro», «leggi speciali», «pentitismo», «tortura sistematica dei militanti politici arrestati». Parole vecchie, ideologicamente decrepite, ma scritte adesso, da giovani che allora neanche erano nati, ma che certamente appaiono indottrinati da chi allora le urlava e le scriveva e non ha cambiato mai idea. Da chi, dopo tanti anni, torna a urlare e scrivere contro chi viene considerato responsabile della 'repressione del dissenso'. Solo parole? Caselli a Firenze doveva parlare di legalità. Chi lo attacca scrive che «noi non facciamo della legalità la nostra bandiera». E invita «a boicottare l’iniziativa e a contestare la presenza di Giancarlo Caselli all’Università». Non è certo un invito al dialogo, al confronto, che il magistrato dice di essere pronto ad avere. Qui c’è solo un 'nemico' da additare come «inquisitore e forcaiolo», e da zittire. A ogni costo. Denunciando un sistema oppressivo che evoca quello che certi 'cattivi maestri' denunciavano quaranta anni fa. Ma oggi sono ben altre le oppressioni. Sono quelle che portano allo 'scarto' delle persone, quelle di un’economia dell’azzardo e della corruzione, di un sistema che non rispetta la vita, ogni vita, di uno sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente. Molti ragazzi sono impegnati nel combatterle, accanto ad adulti che, pagando anche gli errori del passato, possono aiutarli. Tutti lo fanno nella legalità, sporcandosi le mani alla luce del sole. Ce n’erano tanti così anche negli anni 60 e 70 quelli che il 'Collettivo' ricorda solo come periodo di repressione - ma vennero frenati, oscurati da una ventata di violenza che ha condizionato per tanto tempo il nostro Paese. Parole e violenze. No, non ne sentiamo la nostalgia. Non deve accadere di nuovo.