Opinioni

Come fare scelte efficaci ed eque. L'Europa vaccini sé e il mondo

Nicoletta Dentico venerdì 29 gennaio 2021

Esattamente un anno fa la pandemia prendeva forma, giorno dopo giorno, nella reticenza cinese a dichiarare la pericolosità del virus e la sua trasmissione interumana. Il 30 gennaio 2020, un mese dopo il primo focolaio virale a Wuhan, l’Oms dichiarava l’emergenza sanitaria internazionale. Fu presto evidente che il contagio causato dal virus Sars-CoV-2 non era uno scherzo, e che il mondo era del tutto impreparato. Allora erano 98 i casi, e ancora nessun decesso.

Oggi, i contagiati sono più di 100 milioni, oltre 2 milioni le persone nel mondo che hanno perso la vita. Occorre fare memoria dei numeri, che sono vite e persone appunto, per metterli in prospettiva. Sembra che i governi, inchiodati in un permanente presente o al massimo in una logica di breve periodo, abbiano perso la consapevolezza della concatenazione dei fatti e, banalmente, dell’asimmetria delle forze in campo. Il tiro alla fune tra governi e imprese farmaceutiche per i vaccini anti-Covid19, con minacce legali sia di un singolo Paese – come ha fatto l’Italia con Arcuri – sia della Commissione europea, è un esempio del fallimento degli Stati nel rapporto con il settore privato. Chi, segue la battaglia per l’accesso ai medicinali essenziali – malattia dopo malattia, farmaco dopo farmaco – conosce fin troppo bene la sceneggiatura, a partire dal caso Aids. E questa volta la storia si ripete su scala mondiale, mentre imperversa un virus di cui conosciamo ancora molto poco e che ora presenta mutazioni importanti.

Nella gara all’accaparramento, i governi hanno stipulato con le aziende contratti blindati dalla segretezza, senza stabilire le clausole di accesso al vaccino in base a criteri di salute pubblica e senza uno sguardo rivolto oltre i propri confini. Incuranti del ruolo che dovrebbero avere di buoni investitori, i Paesi europei si sono lanciati, senza alcuna informazione sul ciclo di vita del vaccino, in una pratica rischiosa e senza precedenti nell’acquisto di beni o servizi da parte di strutture pubbliche.

Un’inettitudine preoccupante almeno per due motivi. Nel maggio 2019, la comunità internazionale ha votato nell’assemblea dell’Oms una storica risoluzione, proposta dall’Italia, che chiede ai governi trasparenza nei negoziati in ambito farmaceutico. Emerge nel caso dei vaccini anti-Covid una palese incongruenza. Sulla base di quali criteri di competenza nel settore farmaceutico sono stati selezionati i negoziatori europei? Quale mandato hanno ricevuto dalla Commissione? Il finanziamento pubblico, insieme alla tecnologia, è stata la principale leva della rivoluzione copernicana nella ricerca degli attuali vaccini. Un rapporto della fondazione kENUP rivela che in 11 mesi il settore pubblico ha investito 93 miliardi di dollari in tema di Covid, il 95% dei quali destinati ai vaccini - 86,5 miliardi - e il 5% a farmaci e mezzi diagnostici.

L’iniezione di fondi è arrivata dai Paesi industrializzati: il 32% dagli Usa (Operazione Warp Speed), il 24% dalla Commissione europea, il 13% dal Giappone e dalla Corea del Sud. Perché l’Europa non fa valere l’impegno finanziario nella gestione dei brevetti, come fanno gli Usa con il vaccino di Moderna, di cui detengono parte dei diritti legali? Qualcuno ha obiettato che con la legislazione internazionale vigente il brevetto non è violabile. Ma non è così. Per uscire dalla rissa con Big Pharma, sono auspicabili poche concrete azioni politiche di immediata applicazione.

La prima cosa che la Commissione può fare per riprendere in mano la leva negoziale è assumere una licenza obbligatoria sui brevetti di Pfizer e Astra Zeneca. Che cosa significa? Vuole dire rilevare forzosamente il brevetto, a fronte del pagamento di royalties alle due aziende, per affidare la produzione dei vaccini ad altre imprese a motivo di esigenze di salute pubblica (art.31, accordo Trips). La minaccia di azioni legali è una sceneggiata inutile; le aziende sono abituate a pagare multe per scelte che violano le norme. La licenza obbligatoria manda un messaggio politico inequivocabile, il solo che l’industria capisca, sempre che gli Stati intendano esercitare appieno il loro ruolo di tutela del bene comune. La seconda azione riguarda il sostegno europeo alla proposta di sospendere temporaneamente tutti i diritti di proprietà intellettuale sui vaccini, fino a che non sia stata raggiunta l’immunità di popolazione, come richiesto da India e Sudafrica, seguite da oltre 100 nazioni nel mondo.

Anche questa è una strada perfettamente legale, prevista dall’art. IX, commi 3 e 4 dell’Accordo di Marrakesh, costitutivo dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc). La proposta, di cui si è già scritto su queste colonne, gode di ampio sostegno di esperti e organizzazioni internazionali. Papa Francesco, il giorno di Natale, ha esplicitamente chiesto di evitare che i brevetti ostacolino l’accesso universale al vaccino. Una risoluzione del Parlamento italiano del 9 dicembre scorso impegna il governo 'a promuovere nell’Omc una deroga per i vaccini anti-Covid 19 al regime ordinario dell’Accordo Trips sui brevetti e la proprietà intellettuale'. Questa opzione permette a piccole e medie imprese farmaceutiche di accedere alle conoscenze esistenti, di utilizzarle e anche migliorarle, con il ricorso all’ingegneria inversa: la strategia che ha permesso l’avanzamento industriale di tutti i Paesi del Nord del Pianeta.

Liberare la conoscenza sarebbe una svolta per l’accesso ai vaccini anche per i Paesi del Sud globale, visto che il mondo rischia un «catastrofico fallimento morale», come ha detto il direttore generale dell’Oms la scorsa settimana, se non dà seguito alla retorica del vaccino 'bene comune' con iniziative credibili orientate all’equità. Di questo passo, ha scritto 'The Guardian', il Sud del mondo potrebbe ricevere i vaccini alla fine del 2024 o, addirittura, nel 2025. Infine, la crisi del Sars-CoV-2 offre all’Europa l’opportunità di pensare alla costruzione di un sistema di ricerca e sviluppo pubblico comune in ambito biomedico e a centri di produzione farmaceutica pubblici negli Stati membri, per affrontare le molte sfide sanitarie senza dipendere esclusivamente dal settore privato, con un modello di business simile a quello dell’industria della difesa. La storia insegna che molti brevetti farmaceutici, sui cui monopoli hanno lucrato le aziende, provengono dal settore pubblico. Lo Stato innovatore è una realtà di oggi, come ha spiegato l’economista Mariana Mazzucato. Su questa partita l’Europa gioca il futuro delle nuove generazioni. Covid-19 è uno straordinario pedagogo, ma è un pedagogo spietato. Impariamo presto la sua lezione.