Opinioni

Il direttore risponde. Domande non banali sulla «preparazione» alla politica

domenica 12 settembre 2010
Caro direttore,da cristiano che in passato ha fatto un’esperienza politica devo constatare con disagio e con profondo senso di amarezza che nella situazione attuale la cultura politica dei cattolici stenta a emergere. Da una parte, nel centrodestra, ci sono politici di chiara ispirazione cristiana che devono dire troppi sì a un leader che politico non è e che, anzi, per il modo con il quale occupa la scena pubblica, si dimostra in occasioni cruciali agli antipodi della nostra cultura politica. Dall’altra parte, nelle diverse opposizioni di centro e di centrosinistra, ci sono politici che si richiamano, anche per storia personale, ai valori del cattolicesimo ma che non hanno presenza o una capacità di incidere tale da far valere queste idee così importanti lì dove si trovano. Il cardinale Bagnasco sogna cristiani veri in politica. E io mi chiedo che cosa si possa fare perché questo sogno diventi realtà visto che tra i cristiani stessi ci sono divisioni, che si manifestano in modo anche molto forte. Se la politica è manifestazione alta della carità, si dovrà pur trovare un "terreno" o addirittura un "ambiente" comune a livello nazionale o in più realtà locali che consenta di prepararsi e di agire in modo correlato e coordinato a coloro che si sentono chiamati ad operare in politica da credenti. Si dovrà pur immaginare un percorso comune di formazione che permetta di incontrarsi e di apprendere l’abc della morale e della Dottrina sociale cristiana, dalla quale non ci si può staccare se si vuole stare n politica da cattolici disponibili e consapevoli. Si pone, insomma, il problema e la necessità di unire le forze migliori in un percorso comune in cui la possibilità di "fare" sana cultura politica diventi reale. A provocare questo mio intervento sono state alcune riflessioni apparse su Avvenire, soprattutto quella di Francesco D’Agostino (7 settembre) e quella, ripresa da una intervista a Radio Vaticana, di Antonio Maria Baggio (20 agosto). Quest’ultimo, in particolare, parla della necessità di «lanciare una campagna» per una proposta culturale del laicato cattolico al servizio del Paese, non per creare una «realtà di partito» e neanche «per singole leggi», ma come «una coscienza civile che si attiva», perché «c’è una politica della società» che precede e motiva l’impegno nei  partiti e nelle istituzioni.In conclusione, ecco le mie domande. C’è in giro per il Paese qualcosa di concreto che si muove in questa direzione? E c’è chi si rende conto che costruire e attuare questo "percorso" è ineludibile? Sono un abbonato di Avvenire, ma non è per questo che vorrei avere delle risposte... 

Carlo Casati

Quante valutazioni, quante suggestioni, quanti interrogativi e quante insoddisfazioni in così poche righe, caro Casati... Non risparmia nessuno, di qua di là e pure in mezzo. Ma se la pagella all'attuale bipolarismo quasi tripolare (due poli maggiori e un piccolo centro autonomo) che lei pone a premessa del suo ragionamento può suscitare polemica e non essere condivisa da tutti, il cuore di quel che scrive è ovviamente interessante per i molti elettori che guardano con passione cristiana e una chiara ispirazione valoriale agli uomini e ai programmi della politica. Del resto anch'io, visto che siamo qui a dialogare in pubblico, le sto dimostrando di aver trovato garbato e convincente il modo con cui ha fatto pressing per avere "delle risposte" sulle modalità della preparazione e della presenza "da cattolici" sulla scena pubblica. Tuttavia, gentile lettore, ciò che posso offrirle sono soprattutto delle constatazioni. La prima riguarda le sue domande che, in sostanza, si riducono a una. Anzi a un'invocazione: la richiesta di quel «percorso comune» che lei tratteggia con comprensibile senso d'urgenza. La seconda concerne le caratteristiche di questo percorso evocato, che somiglia - guarda caso - a iniziative già esistite e, in qualche misura, ancora esistenti e note come "Scuole di formazione all'impegno sociale e politico" (a volte un nome o poco più). La terza constatazione è che lei suggerisce un coordinamento, una messa in rete, di tali iniziative preludio a un salto di qualità che si traduca in robuste iniezioni di efficienza. Che dire di tutto questo? Che il suo è un discorso tutt'altro che strampalato. E comunque - lo dico da cronista da sempre attento alle vicende politiche di casa nostra - ha il piglio di una provocazione tempestiva e utile.