Opinioni

Cambiare il Fiscal Compact. L’errore che più pesa

Leonardo Becchetti e Giancarlo Marini venerdì 23 novembre 2012
L’ Europa è in recessione per la se­conda volta dalla nascita dell’euro. La disoccupazione è a livelli record, con un giovane su due senza lavoro in Spagna e uno su tre in Italia. A questi giovani vie­ne detto che si sta pensando a loro con le politiche di austerità che diminuiranno il fardello degli oneri del debito e creeran­no spazi per la riduzione delle tasse e la ripresa della domanda. Eppure conti­nuano a essere vittime dello spread pro­prio i Paesi maggiormente impegnati in massicci sforzi di risanamento, generan­do la situazione paradossale di un trasfe­rimento di risorse unilaterale dai Paesi in difficoltà ai Paesi più ricchi. E questi ulti­mi, concentrati sulle proprie faccende in­terne, continuano a centellinare il soste­gno ai partner in difficoltà.
Come in una paradossale versione del no­to apologo, Achille (i governi dei Paesi più indebitati) non riesce mai a raggiungere la tartaruga (stabilizzare o ridurre il rap­porto debito/Pil) perché a ogni tentativo di riduzione del debito la cura troppo re­cessiva fa crollare il Pil così che il rappor­to continua ad aumentare invece che scendere. Lo stesso accade al rapporto spesa pubblica sul Pil: la spesa pubblica si riduce a costo di grandi sacrifici, ma l’ef­fetto recessivo sul Pil è tale che il rappor­to spesa pubblica/Pil continua a essere e­levato e a richiedere nuovi interventi. La risposta dei sacerdoti del rigore, che dicono che la cura non è abbastanza du­ra, sembra quella di coloro che per non ac­cettare il fallimento della loro terapia si difendono dicendo che il paziente non l’ha attuata sino in fondo mentre nessu­no vuole vedere che è la cura stessa che tramortisce la domanda interna e blocca le possibilità di ripresa.
Tutto questo ri­schia di rialimentare la speculazione in parte sopita dagli annunci di quest’esta­te del presidente della Banca centrale eu­ropea, Mario Draghi. Ogni qual volta la B­ce tenta di arginare la speculazione arri­vano puntuali le rimostranze della Bun­desbank o di esponenti del governo tede­sco a vanificarne la credibilità e ad ali­mentare le aspettative di crollo dell’euro, che è l’unica vera causa della speculazio­ne contro i debiti sovrani. Il fallimento delle prescrizioni di politica economica imposte dalla troika è evi­dente.
La logica e gli indicatori di disci­plina fiscale di Maastricht non sono più attuali, in quanto formulati in un conte­sto in cui i singoli Stati potevano decide­re in maniera indipendente la condotta della politica monetaria e fiscale. Con l’av­vento della moneta unica, i governi na­zionali possono controllare esclusiva­mente il saldo primario e pertanto qual­siasi obiettivo formulato in base a indica­tori che contengano la spesa per interes­si, influenzata in maniera determinante dalla speculazione, non è perseguibile au­tonomamente, ma comporta la coopera­zione della Bce. Una drastica riforma istituzionale è ormai improcrastinabile. E alla vigilia di un im­portante Consiglio straordinario dei capi di Stato e di Governo della Ue è utile ri­cordarlo. Non è concepibile che i governi nazionali sottoscrivano impegni su va­riabili al di fuori del loro controllo.
Biso­gna urgentemente riscrivere le regole di disciplina fiscale chiedendo la modifica del 'Fiscal Compact' , in modo che gli o­biettivi di consolidamento fiscale siano basati esclusivamente sul saldo primario. Così come formulato, infatti, il 'Fiscal Compact' equivale alla firma di una 'cambiale in bianco' agli speculatori da parte dei Paesi sotto attacco. Con questa politica – o meglio non-politica – ci ritro­viamo come vasi di coccio tra grandi po­tenze economiche che usano spregiudi­catamente le svalutazioni del cambio, le loro ricchezze in termini di materie prime, i controlli sulla finanza e sui movimenti di capitale e i divari di costo del lavoro met­tendoci in perenne difficoltà. Le difficoltà che stiamo vivendo sono uno stimolo a puntare sulla qualità e la competitività, ma tutto questo non basta per contrasta­re forze così potenti e determinate. ​
Solo l’Europa può aprire a vantaggio degli Stati membri una nuova stagione di politiche macroeconomiche che, pur basate su vincoli di bilancio seri e ragionevoli, possano rilanciare la domanda interna, impegnandosi al contempo in una strategia volta a portare verso l’alto la convergenza del costo del lavoro a livello mondiale Nell’attesa dell’arrivo dei 'nostri' (il cambiamento delle politiche europee) una strada per far ripartire la crescita superando il vicolo cieco del paradosso di Achille e la tartaruga, del rigore che non riesce a far ripartire il Paese, è sul piano interno quella – giova ripeterlo – di un nuovo Patto Fiscale che, in nome dell’equità, aggredisca l’evasione vincolando le somme recuperate alla riduzione della pressione fiscale.
Tuttavia qualsiasi operazione di risanamento potrà dare i suoi frutti a condizione che vi sia una revisione del 'Fiscal Compact' che spunti le armi alla speculazione. Solo premiando chi sta facendo sforzi enormi di risanamento (mettendo a repentaglio la salute dei cittadini, l’istruzione e il lavoro dei giovani), l’Europa può sopravvivere. Continuare testardamente con politiche rigoriste assurde e prive di ogni fondamento teorico ed empirico sarebbe un errore letteralmente devastante.