Opinioni

Sei anni fa la bancarotta. Lehman, lo spettro che si aggira

Massimo Calvi sabato 13 settembre 2014
Sono passati sei anni da quando – la notte tra il 14 e il 15 settembre 2008 – il mondo si è trovato a fare i conti con la più grande bancarotta della storia del capitalismo: il crollo della Lehman Brothers, l’evento chiave nel trasformare la crisi dei mutui subprime americani in un problema planetario. Portando il contagio della finanza tossica in Europa.
Oggi la fotografia economica internazionale mostra che il Paese epicentro del terremoto si è rimesso in sesto quasi del tutto, mentre l’Europa continua ad arrancare, con l’Italia invischiata nella terza recessione in pochi anni. Se negli Usa il tasso di disoccupazione è tornato al 6,2%, il dato dei senza lavoro in Europa è fermo all’11,6%, quasi il doppio.
Le lezioni che si possono trarre sono molte, l’inquietudine che resta è una sola. Con il senno di poi, alla luce cioè dei soldi pubblici spesi per salvare le banche americane ed europee, il crac Lehman può essere definito un mancato salvataggio. Che si sia trattato di un errore oppure no, vero è che nello stesso “incidente” nel 2010 è poi incorsa l’Europa quando, agendo egoisticamente nel tentativo di impartire una lezione, ha deciso di lasciar fallire la Grecia, spalancando le porte alla crisi dei debiti sovrani.
Il crac Lehman ha insegnato un’altra cosa di fondamentale importanza: il valore della fiducia per far girare l’economia. Già poche ore dopo la bancarotta del 15 settembre il denaro aveva smesso di circolare in tutto il mondo perché nessuno si fidava più di nessuno e il credito era andato in stallo bloccando nel giro di poco tempo la produzione dell’industria, arrestando il battito cardiaco dell’organismo economico. Da quella crisi gli Stati Uniti sono ripartiti grazie a una banca centrale che ha potuto stampare moneta senza sosta, tanto che oggi la Federal Reserve può incominciare le operazioni di rientro. Una potenza di fuoco che solleva non pochi timori per la nuova “bolla” generata, ma sulla quale l’Europa, a causa delle sue regole, non ha potuto contare. L’abilità di Mario Draghi nel persuadere i mercati finora ha evitato il peggio, ma è solo dai prossimi mesi che la Banca centrale europea incomincerà a fare uso di una serie di misure eccezionali, anche se non paragonabili al quantitative easing della Fed.
Eppure l’Europa resta al palo per altre ragioni: la lentezza con cui procede il cammino delle riforme – l’esito modesto del vertice Ecofin di ieri a Milano ne è una prova – e il perdurante deficit di fiducia tra i Paesi, che si trasforma in sfiducia della popolazione nelle prospettive e nella possibilità di ripartire. L’inquietudine per il futuro e la paura dei cittadini è oggi il nemico numero uno nell’Unione dei Ventotto, come la crisi di fiducia lo è stata nel mondo dopo il crac Lehman. In tale situazione, la lezione da tenere presente è quella che, dal secolo scorso, ci ricorda che lo sviluppo resta una garanzia di pace, mentre una ripresa generata dai conflitti (di ogni tipo) presenta costi enormi e inaccettabili.