Opinioni

Politica interna, ma non solo: il soft-power del piccolo schermo. Le rischiose facce italiane dell'omologazione televisiva

Carla Collilcelli sabato 4 giugno 2011
Il soft-power televisivo, soft per gli strumenti utilizzati, ma tutt’altro che leggero per l’impatto ottenuto. Questo potere, forte e leggero al tempo stesso, passa sì per certe 'dirette' e per altre forme di tentato convincimento esplicito da parte dei tanti politici e parlamentari che frequentano assiduamente i talk-show e le trasmissioni di divulgazione politica, ma passa anche, e forse più subdolamente, in molte altre forme e occasioni, dal modo con cui vengono raccontate vicende come l’uccisione di Benladen, le rivolte nei Paesi arabi e questo e quel caso giudiziario.La tv gioca un ruolo molto importante in tutto ciò, perché riflette più di ogni altro mezzo la realtà, ma al tempo stesso la distorce, e pur rappresentando della realtà tante sfaccettature diverse mostra una particolare predilezione, più della carta stampata, per gli aspetti meno edificanti e per lo scavare nella vita delle persone e delle comunità alla ricerca del patologico e dell’oscuro, mentre gli altri aspetti restano marginali e solo raramente riescono a fare capolino e a conquistare un po’ di luce e di spazio. Il ruolo della comunicazione di massa è, in questo senso, molto importante anche per lo sviluppo e le reazioni rispetto all’attuale crisi economica e politica. Basti pensare alle immagini dei dipendenti della Lehman Brothers che lasciano il proprio ufficio con la scatola dei propri effetti personali, che secondo molti osservatori hanno contribuito a rinfocolare la crisi, non certamente a facilitarne il superamento, o a quelle dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, o ancora alle varie influenze suina, aviaria, ecc., mostrate in tv con immagini spesso scioccanti.Da questo punto di vista due aspetti rivestono una particolare importanza. Il primo riguarda la potenza di un mezzo che riesce a trasmettere contemporaneamente immagine, suono e notizia, cosa precedentemente possibile solo in eventi di contatto diretto tra comunicatore e pubblico di riferimento, mentre ormai ciò è possibile per una platea molto ampia, anche mondiale in qualche caso, di destinatari. Il secondo aspetto è forse ancora più dirompente e riguarda la possibilità di affiancare a determinate immagini "commenti" costruiti in sede di redazione dei programmi. Di questo in Italia siamo diventati particolarmente esperti e tecnicamente capaci: basti pensare all’abbondanza di commenti che accompagnano e 'orientano' servizi e dirette tv nella maggior parte dei canali italiani, mentre nelle tv non italiane si nota una maggiore sobrietà, con meno commenti e più suoni riportati in diretta della scena che viene trasmessa. Questa ridondanza di commenti e dibattiti, tutta italiana, spesso di ottima qualità tecnica e qualche volta anche di spessore culturale (di cui si potrebbero portare molti altri esempi, non sempre dello stesso livello) contribuisce in maniera forte alla costruzione di quel mainstream, di quella cultura omologata, cioè, di cui molto bene tratta il volume recentemente pubblicato in italiano di Frédéric Martel (Mainstream, Come si costruisce un successo planetario e si vince la guerra mondiale dei media).La questione nazionale si gioca allora anche su questo terreno, cioè su quella particolare forma di correttezza comunicativa che dovrebbe indurre a evitare di "parlare sui fatti", politici nazionali e internazionali, così come economici e sociali, in maniera invadente e magari distorcente, spesso anche fuori della portata di molti per quanto riguarda la capacità di decifrare i "valori" sottostanti, le motivazioni e le eventuali parzialità. Far crescere il Paese è anche e soprattutto lavorare per una maturità comunicativa, che riguarda certo colui che ascolta e guarda, ma anche e forse prioritariamente colui che comunica.