Opinioni

Rischio Olimpiadi. Contro l’assalto alla montagna servono poesia e resistenza civile

Roberta De Monticelli sabato 2 settembre 2023

Crescono i timori per le opere che verranno realizzate in vista delle Olimpiadi invernali del 2026. Nella foto, il monte Cevedale, nel parco nazionale dello Stelvio

«Spesso e volentieri i ricordi tornano a farmi visita. A volte addirittura mi assalgono. Sorvolano sulla memoria più recente, con la quale si dimostrano restii, per prediligere, invece, gli anni dell’infanzia e della prima adolescenza». Scrive così Fausto De Stefani (La collina di Lorenzo, Montura 2022, vedi anche Un viaggio lungo una fiaba, Prefazione di Marco Paolini, Montura 2017). Chi è Fausto De Stefani? Al secolo, un alpinista da record, il sesto al mondo a scalare tutte e quattordici le cime terrestri sugli ottomila metri. Uno che non si è accontentato di così poco: ma per gratitudine ha dedicato il resto della vita a donare un po’ di futuro ai bambini che non ne hanno. A quelli delle poverissime vallate del Nepal, anzitutto.

Ne ha scritto anche Erri De Luca: «Uomini come (…) De Stefani restituiscono qualcosa di quella grandezza che hanno calpestato con i loro ramponi piantati sulle punte più alte di quella terra». I cui abitanti per tradizione «ritenevano le montagne la residenza delle divinità, perciò da non violare», ma dovettero svendere il divino per fame, prima agli ascensionisti eroici, e poi alle masse del turismo d’alta quota.

De Stefani non solo è fra i fondatori dell’associazione internazionale Mountain Wilderness, della quale dal 1993 è garante internazionale e con cui ha organizzato la spedizione internazionale “Free K2” per la pulizia del monte dai quintali di rifiuti accumulati in anni dalle precedenti spedizioni: ma si è dedicato a fondare, con l’aiuto di Emergency e altre organizzazioni non profit, scuole, mense, ospedali, come la Rarahil Memorial School a Kirtipur, non lontano da Kathmandu. Impresa alla quale vanno i fondi che De Stefani riesce a raccogliere come un novello Albert Schweitzer: non suona l’organo ma è uno straordinario fotografo, organizza mostre, scrive libri, fa conferenze e riceve circa ventimila bambini all’anno nell’oasi naturalistico-fiabesca “La collina di Lorenzo”, in prossimità del Lago di Garda, con la sua mappa del tesoro e la casetta di Jack London e il galeone dei pirati che beccheggia sull’erba, e tutto pare sia uscito dalle sue grandi mani come Pinocchio da quelle di Geppetto. E di alpinismo ormai parla pochissimo, scrive.

Si parla di un bacino artificiale nel Parco dello Stelvio con l’abbattimento di una fascia di bosco di betulle e abeti, senza compensazioni. E poi il Lago Bianco del Gavia, che sarà distrutto con la sua tundra artica

Sì, perché questo patriarca dalla chioma e dalla barba fluviali preferisce l’affabulazione che incanta. Si vede, che preferisce parlare ai bambini: e tali ridiventiamo spontaneamente, leggendo e guardando le sue poeticissime fotografie di attrezzi fuori uso, ruote di biciclette, ghiacciai himalayani e umili sterrati mantovani. Non ci vuole di meno, per ritrovarsi in mano, stupiti, qualche scintilla di quell’altezza stellare, di quel candore e splendore glaciali di cui si rivestivano gli dèi inviolati di lassù. Perché bisogna scendere – lo suggerisce l’umorismo o sentimento del contrario – molto più giù, nel profondo della memoria, di quanto basta ai discorsi sulla sostenibilità, alla loro piattezza noiosa e insieme infida, che chiama «un’opportunità» ogni occasione di rapina di terra, paesaggio, passato. E qui, in fondo all’infanzia, ci accoglie Mandelo, l’ambulante antico di giorni che batteva la campagna mantovana, mezzo Pifferaio magico mezzo Omero della Bassa.

Con la sua bicicletta carica di una cassetta di legno traballante e piena di rimasugli d’oggetti, fra cui un’ancora arrugginita e la tela di un’immaginaria mongolfiera per imbarcarci i bambini delle cascine, su verso cieli lontani e altissime montagne che nella Bassa nessuno ha mai viste. Il vecchio alpinista racconta come nacque la sua vocazione dell’alto, da quelle parole incantate e dalla fantasia di un ambulante girovago curiosamente simile al Padreterno: e improvvisamente ti accorgi che Mandelo e lui si somigliano come due gocce d’acqua, da confondersi, e la mente tornata bambina altro non chiede che ascoltare ancora il racconto del mondo visto dall’alto di una mongolfiera.

Già: ma cosa vedrà fra poco, prima delle Olimpiadi Invernali 2026, una mongolfiera che transitasse sopra le Alpi, dalle Retiche alle Dolomiti, per loro disgrazia interessate dalle opere cementizie annunciate? Ad esempio nella cosiddetta Magnifica Terra, con le valli di Bormio fra cui quella di Santa Caterina Valfurva e passo Gavia. Non vedrà la famigerata “tangenzialina” nella piana verde, di cui a fine luglio articoli di stampa avevano denunciato l’impatto devastante: lungi dall’essere asfaltato, il dissenso della popolazione locale ha prevalso sulla rassegnazione, inducendo Regione e Comune a “congelare” l’opera. E questa pare un’alba insperata di coscienza civile, che coinvolge molta gioventù e suscita festa, amicizie, canzoni e poesia.

C’è troppa opacità attorno ai progetti, è necessario un dibattito

La nostra immaginaria mongolfiera però ne vedrà tante altre, di strutture “sostenibili”. Ma quali? Opacità completa. A due anni dal termine di realizzazione, nessuna comunicazione e soprattutto nessuna pubblica discussione di un progetto dall’impatto virtualmente mostruoso, di cui si mormora che potrebbe addirittura implicare l’apertura di un lago artificiale nel Parco dello Stelvio, per rifornire dell’enorme riserva di neve artificiale necessaria (a proposito di siccità e mutamenti climatici) la pista Stelvio. Che verrebbe raddoppiata in larghezza, con l’abbattimento di una fascia corrispondente di bosco di betulle e abeti, senza compensazioni previste.

Per non parlare del cosiddetto Ski Stadium, enorme tribuna colonnata a più piani, capace di accogliere settemila persone e di togliere al paese la vista dei suoi prati, lì dove finisce la pista; o del cosiddetto Hospitality Lounge che sorgerebbe in luogo della stazione di partenza della vecchia funivia dismessa, tanto per non rinunciare all’ebbrezza di un altro impianto di risalita, dal lato opposto di quello vecchio… E vogliamo parlare del Lago Bianco del Gavia, una meraviglia della natura nel cuore del Parco dello Stelvio a 2.600 metri, che sarà distrutto con la sua tundra artica unica nelle Alpi, e ridotto a un bacino di servizio per i tubi dell’innevamento artificiale?

Oh, Mandelo. C’è solo da sperare che le tue immagini di scabra bellezza facciano un miracolo nell’anima dei decisori. Che scendano a schiere gli angeli, precipitando giù dagli ottomila metri degli ultimi ghiacciai, giù fino ai mediocri arcani del potere governativo e aziendale lombardo, sfondando con le loro biciclette di luce il buio menefreghismo della politica italiana. Dove giacciono inascoltate le domande di Cai, Federazione Pro Natura, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness, Touring Club Italiano, Wwf. E le nostre residue speranze di svegliarci in un mondo dove le menti bambine abbiano ancora un futuro, e lo spazio, direzioni di senso.