Opinioni

L'Italia del nuoto si scopre donna e racconta di un'intera generazione. Le fragili e immense ragazze dalle bracciate d’oro

Alberto Caprotti giovedì 30 luglio 2009
Il rovescio della gioventù che affonda ha la faccia algida di Federica Pellegrini. Con Mameli applaudito e mano sul cuore, un altro oro in vasca, un altro record del mondo. Che non fa più notizia tanti ne battono, ma che è il decimo in carriera per lei che ancora non ha 21 anni. Per essere in assoluto la più forte e probabilmente la più bella, risultare anche la più simpatica non è indispensabile. Ma non si può avere tutto, ci basta quello che ha dato e dà. In termini di medaglie, e di emozioni vere. Ancora Federica, prima e dopo Alessia Filippi, core de’ Roma, l’altra donna immensa di questi Mondiali fatti in casa. Donne diverse, opposte, unite solo dalla volontà di arrivare fino in fondo per non andare a fondo. Vincono mulinando le braccia, ma il loro traguardo è nella testa. Perché sono comunque lo specchio della gioventù di oggi: troppe cuffiette e musica a palla nelle orecchie. E una fragilità di base impensabile sotto quei muscoli d’acciaio. Federica Pellegrini ha un tatuaggio immenso marchiato sul suo collo di femmina. E uno psicologo personale, Daniele Popolizio, che la accompagna sempre fino quasi a bordo vasca. Piange tanto, c’è un’ansia perenne che lei deve annegare per riemergere in ogni gara. L’acqua fa paura anche a chi la sa asciugare. Come la vita con poche certezze di tanti ragazzi che sembrano poter spaccare il mondo e nascondono altre verità. Anche Alessia Fillippi l’altro giorno ha stracciato le avversarie parlando della sua ritrovata «lucidità ipnotica». Qualunque cosa voglia dire, le regine dell’acqua dolce hanno bisogno di qualcosa che le tenga a galla. Sempre e comunque. Sono questi i tempi, queste le necessità, queste le teste. Di nuovo, di profondamente cambiato, è il sesso debole che batte quello forte. Solo donne o quasi in questi Mondiali. Affonda Filippo Magnini, campione in carica: i maschi sono salvati da Valerio Cleri, l’uomo dei 25 chilometri in mare aperto, che una settimana fa ha battuto onde e meduse per salire sul podio. Ma vincono soprattutto loro, le ragazze d’oro, figlie dello stravolgimento della tradizione storica dell’Italia contadina che ha imparato a nuotare, come una volta facevano soltanto i bambini dei ricchi. L’Italia della polenta, del Sud tracagnotto, delle mondine piegate in due e del sudore per tutti, riemerge dal fondo e si riscopre popolo d’acqua, capace di vincere anche in uno sport dove primeggiano solo le nazioni altamente sviluppate. Vincere nel nuoto non è segno soltanto di evoluzione sociale ed economica diffusa, ma di crescita fisica complessiva di una gioventù che se spesso trema nella testa, non ha però più nulla da invidiare sul piano morfologico agli avversari che un tempo la intimidivano. Nelle piscine italiane (sempre troppo poche) come sulle spiagge, nuotano oggi bambini e bambine che hanno le stesse premure mediche, le stesse attenzioni dietetiche, le stesse cure tecniche dei loro coetanei statunitensi, tedeschi o australiani. Tra quei corpi straordinari al punto di essere a volte preoccupanti, tra quei muscoli levigati e costruiti da ore in piscina, oggi ci sono anche i nostri figli da record. Prodotti da un’Italia che ha avuto abbastanza voglia, abbastanza soldi, abbastanza pazienza per riscoprire l’acqua che la circonda da sempre. E che, almeno qui, non affonda più.